Magazine

Moby, negli universi paralleli del re dell'electro-dance

Ama e pratica da sempre la fotografia il grande dj-musicista americano. «Mi piace immortalare il confine tra la normalità e i suoi mostri», racconta sul numero 10 di Flair in edicola con Panorama giovedì 27 marzo .

Con la sua ricerca electro-dance ha spostato le frontiere della musica, dagli Anni 90 in poi. Ma Richard Melville Hall, in arte Moby, ha un talento inquieto e per questo ha sperimentato altre dimensioni creative. La fotografia, infatti, gli sta dando molte soddisfazioni di pubblico e critica. Con la sua mostra Innocents è stato appena accalamato a Los Angeles. E nell’incontro con Flair lʼartista regala ai lettori alcuni suoi scatti non esposti. È rilassato mentre parla nella sua casa sulle colline di Hollywood, costruita dal progettista dell’architettura organica John Lautner.

Come nasce questa passione per l’immagine?

Mio zio era un fotografo del New York Times, e quando avevo dieci anni mi regalava le macchine fotografiche che non usava più. La prima fu un Nikon F 35mm. Sono cresciuto fotografando e stampando foto su film.

Snobba il digitale, allora?

Per niente. Se certi fotografi lo considerano un abbassamento di livello, io lo prendo come una sfida: se tutti oggi possono scattare una buona foto con un iPhone, allora bisogna migliorarsi. In cerca di qualcosa che si distingua dall'alluvione di quelle immagini.

La sua prima fotografia?

Delle banane che escono da un water.

Prego?

Quello poteva essere un scatto di Man Ray. Da piccolo ero ossessionato dal dadaismo e dal surrealismo.

Quali altri maestri dell’immagine l’hanno ispirata?

Edward Steichen è stato di sicuro il mio punto di riferimento. Forse in maniera del tutto casuale: sono cresciuto in una famiglia povera, e in casa avevamo soltanto un libro d’arte, quello di Steichen appunto.

E influenze più moderne?

Wolfgang Tillmans. Alle volte ha un approccio formale, mentre in altri casi tutto l’opposto. I miei fotografi preferiti in generale non sono oggettivi ma soggettivi, nel senso che senti la loro presenza nell’immagine. Amo anche David Lynch, che nell’immagine cinematografica  sa rendere il normale non normale e viceversa.

Vede un legame tra fotografia e musica?

Una delle ragioni per cui amo la fotografia è che si pone all’opposto della musica. Se suono una canzone che dura tre minuti, ci vorrà sempre lo stesso tempo per ascoltarla, mentre una foto puoi passare una vita intera a osservarla. In un brano ogni aspetto è creato dal musicista, in uno scatto il fruitore aggiunge molto, moltissimo di suo.

 

Si può leggere l’intervista integrale a MOBY sul numero 10 di Flair in edicola con Panorama giovedì 27 marzo .

Courtesy of the artist

Moby, 48 anni. Dopo la sua mostra di Los Angeles, l’artista sta iniziando un nuovo tour.

I più letti

avatar-icon

Lulu Berton