Martin Parr, l'osservatore
Martin Parr/Magnum Photos/Contrasto
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Martin Parr, l'osservatore

Nelle immagini di un grande della fotografia mondiale, il cibo racconta chi siamo. Martin Parr è uno dei protagonisti del nuovo numero di Flair, in edicola con Panorama

In tavola, uova strapazzate, bacon e succo d’arancia. E' un esordio adatto a un’intervista sul cibo con Martin Parr, tra i più celebrati fotografi al mondo, che questo soggetto lo mette spesso al centro dei suoi scatti ipercromatici (una sua foto può arrivare a una quotazione di 8mila dollari).

Dagli anni ’80, racconta il mondo attraverso i bagni di sole al mare dei suoi pallidi connazionali inglesi, o i turisti che immortalano Roma come Machu Picchu, senza distinguere granché. Più di recente, è passato da Atlanta, tra car wash, rivenditori di armi, fiere di paese dove domina il colore fucsia. E' nato così un libro-reportage sull’America d’oggi, Up and Down Peachtree (Contrasto), tanto eloquente che contiene solo immagini.

Tornando al pranzo di Parr nella sua casa di Bristol, in attesa che lui consumi il menu della domenica, dirotta chi scrive al piano inferiore, nella libreria-esposizione. Ottima chance. C’è una parte dei suoi dodicimila libri di fotografia ("Qui non entravano più e voglio aprire una fondazione"). Si può ammirare soprattutto la famosa collezione di souvenir: tazze da tè con il ritratto di Osama Bin Laden o Margareth Thatcher, micro-busti di Hugo Chavez e orologi con Saddam Hussein sul quadrante. Memorabilia di una storia dove la propaganda tocca invariabilmente i vertici del kitsch. Una parola che Parr non ama, soprattutto quando si parla degli stralunati protagonisti dei suoi scatti ("Io non cerco il kitsch, mi limito a fotografare quel che vedo").

Lo sa che, se in un giornale si vogliono delle foto dai colori saturi e senza aggiustamenti estetici, si dice "alla Martin Parr"?

Be’, il mio ego è soddisfatto. Esiste, credo, uno "stile Martin Parr". So che per arrivarci ho impiegato molti anni. Tanti fotografi non trovano la loro "voce" in tutta una carriera... Posso considerarmi fortunato.

Perché tanto interesse per il cibo?

E' un indicatore sociale. Più di molti altri aspetti, dice chi siamo o come vogliamo apparire. Esprime le contraddizioni, come il linguaggio.

E' possibile tracciare una storia del comportamento umano attraverso quello che mangiamo?

Io so che se vado ad Atlanta per  raccontare quell’ambiente e chi ci vive, mi colpiscono più i dolci coperti di glassa multicolore e i cosciotti di carne mangiati a una fiera, piuttosto che i monumenti della cittá - anche perché lì non ce ne sono molti. Nelle mie foto, comunque, non c’è mai un giudizio. Interesse, sì.

In Italia, al di lá della sensibilitá per il cibo, c’è quest’ossessione, con Saloni del Gusto a macchia d’olio...

Più che dell’Italia credo sia una ossessione globale. Guardi la follia dei programmi con gli chef in tv. Io leggo questo voler mangiar meglio come un passaggio sociale della classe media. Non so verso che cosa. L’Europa è in bancarotta e forse ora ci possiamo occupare di queste cose.

Cosa le piacerebbe che passasse alla storia di Martin Parr?

Ho pubblicato 70 libri di fotografia. Vorrei si dicesse "Evidentemente gli piaceva osservare".

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Mauro Querci