Fino alla fine del mondo
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Fino alla fine del mondo

La nave Costa neoRomantica ha passato Capo Horn e il canale di Beagle, prima di raggiungere Ushuaia e la Terra del Fuoco, in Argentina

Per affrontare Capo Horn bisogna essere preparati. E non soltanto  tracciare rotte o prevedere la potenza dei venti e l’altezza delle onde: quella è roba da professionisti. Piuttosto si devono conoscere le storie, mitiche, quasi leggendarie, che sono legate all’estrema propaggine delle Americhe. Bruce Chatwin, con il suoIn Patagonia, è una lettura quasi imprescindibile, quando ci si accinge a esplorare questo lembo di terra. Ma è di un autore cileno, Francisco Coloane, la descrizione forse più emozionante di Cabo de Hornos: “I marinai di ogni latitudine assicurano che là, a un miglio da quel tragico promontorio, testimone dell’incessante duello tra i due più vasti oceani del mondo a Capo Horn, il Diavolo è rimasto ancorato a un paio di tonnellate di catene, che lui trascina facendo gemere i ceppi sul fondo del mare nelle orride notti di tempesta”.

Siamo nel 2013 e siamo su una nave da crociera però, nei giorni precedenti il doppiaggio del capo, a bordo della Costa neoRomantica non si parla d’altro e molti miei compagni di viaggio snocciolano come se nulla fosse nozioni tecniche e racconti degni del capitano Cook: una schiera di passeggeri trasformati improvvisamente in lupi di mare. “Naturalmente effettueremo il passaggio solo se le condizioni meteorologiche ce lo permetteranno” spiega il comandante Salvatore Donato, quando siamo ancora lungo le coste della Patagonia argentina, a Puerto Madryn “perché per noi è prioritario garantire sempre il comfort dei nostri ospiti”.

Insomma, il rischio è soprattutto il mal di mare, tuttavia l’atmosfera si fa ogni giorno più elettrizzante: lasciamo dunque le colonie di pinguini e le balene franche della Península Valdés e ci dirigiamo verso sud.

Nei due giorni di navigazione vediamo le acque diventare scure e il cielo riempirsi di nuvole, ma il 28 novembre, quando arriviamo in prossimità della meta, le condizioni meteo sono piuttosto buone. Appena l’altoparlante diffonde l’avviso che il momento clou si sta avvicinando, corriamo tutti sul ponte, armati di macchine fotografiche: è pomeriggio, l’aria è gelida e tagliente e Capo Horn (che è un’isola, in acque territoriali cilene) si staglia davanti a noi, con le sue ripide scogliere color piombo: lo circumnavighiamo in circa due ore, come incantati.

Alla sera, durante la cena, molti passeggeri mi raccontano di essersi quasi commossi. Un’emozione davvero fortissima condivisa dallo stesso comandante, nonostante i trent’anni di esperienza alle spalle: “La cosa che mi ha più toccato? Vedere il monumento ai caduti del mare, issato sulla cima della montagna”.

Il giorno seguente, quando ci svegliamo, l’ennesimo spettacolo: il Canale di Beagle si allunga maestoso davanti a noi, illuminato dalla luce obliqua dell’alba, mentre tutt’intorno le cime imbiancate dei Monti Martial creano uno scenario difficile da dimenticare.

Di lì a poco approdiamo a Ushuaia: la città argentina, ultimo avamposto meridionale della civiltà, è il punto di partenza per andare alla scoperta della Terra del Fuoco, territorio selvaggio fatto di foreste, incantevoli laghetti di montagna e una fauna ricchissima. La nostra sosta dura due splendidi giorni, poi ripartiamo, salutati questa volta dal tramonto australe: i fiordi cileni ci aspettano, per nuove e mirabolanti avventure.

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