L’università, i padri, le figlie e i grovigli di sentimenti

L’università, i padri, le figlie e i grovigli di sentimenti

Nessuno mi ha detto se in questo blog bisogna scrivere in quanto padre o in quanto figlio. Quindi ho deciso io: scrivo da figlio. Anche perché uno non può essere padre se non riconosce di essere figlio. E io …Leggi tutto

Nessuno mi ha detto se in questo blog bisogna scrivere in quanto padre o in quanto figlio. Quindi ho deciso io: scrivo da figlio. Anche perché uno non può essere padre se non riconosce di essere figlio. E io mi sento più figlio che padre, nel senso che non faccio, in realtà, altro che trasmettere ai miei figli ciò che ho imparato da mio padre.

In realtà non faccio nient’altro che questo, ed è un lavoro immenso, nonostante non aggiunga molto di mio. Adeguo, magari, il linguaggio (a casa mia ca**o non s’è mai sentito), aggiorno un po’ lo stile, ma nient’altro. Peraltro una torta di mele è buona perché è sempre quella, se cambiasse sarebbe magari buona uguale, ma ci vorrebbe un bravo cuoco per cambiarla nel modo giusto. E io, che non mi sono mai sentito un bravo figlio, non sono capace di essere un bravo padre se non usassi la ricetta di mio padre, che, finora, resta la migliore che ho visto.

Va bene, va bene, volete un esempio. Ok.

Valeria, la mia primogenita (il secondo è Nicolò e ha 13 anni), ha iniziato quest’anno l’Università ed è andata via di casa. Io non capisco come abbiano fatto mio padre e mia madre (che purtroppo non c’è più) a essere stati come sono stati quando io iniziai l’Università andandomene di casa. Per di più mio fratello era già andato via, io li lasciavo soli.

Nel mio caso è andata via Valeria, ma ci rimane Nicolò e nonostante questo non avrei mai immaginato di vivere un tale sconvolgimento: un ingarbugliamento di sentimenti, un attorcigliarsi di nostalgia, felicità, orgoglio, preoccupazione. Tutti aggrovigliati e sperimentabili fisicamente quando a cena guardo la sua sedia. Anche se il sentimento dominante, avvolgente, è la felicità per la sua felicità, è innegabile che in una casa, quando una figlia inizia a diventare donna, cambia tutto.

Ora, la domanda è: ma come hanno fatto mio padre e mia madre a non farmi pesare nemmeno per un epslion il loro aggrovigliamento di sentimenti? Mistero. Solo ora capisco, da figlio, quello che devono aver provato, perché è lo stesso che provo io, ora, da padre. Mi resta solo da fare come ha fatto mio padre: non farle pensare nemmeno per un eplison il fatto di non poterla più svegliare, tutte le mattine, alle 7 meno cinque.

Credit immagine: ThinkStock Photos

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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