Musica

Metallica, Hardwired... To Self-Destruct - Recensione

Fedele a se stessa, la band torna dopo otto anni con un disco che non deluderà i fan

Dopo otto anni di pausa, tanto è passato da Death Magnetic, i Metallica tornano con un disco che, se non altro, ha il pregio di riconnetterli al loro sound. Quello che non si trovava più di nelle tracce di Death Magnetic e St. Anger.

Oggi, Hetfield e soci sono una band storica fedele al proprio brand sonoro. Quello dei Metallica 2016 è un metal granitico, più basato sul mid tempo che non sulla velocità del thrash degli esordi. Si distingue in questo senso, Hardwired, l'adrenalinica opener. 

L'album è sorretto da una produzione finalmente a fuoco che tiene conto di chi sono e da dove vengono i Four Horsemen. Ci sono gruppi, e i Metallica sono tra questi, che quando cercano di cambiare direzione e spettro sonoro perdono molta della loro magia. Nel bene e nel male i Metallica, invece, sono esattamente quello che sentite in questo disco, una band di metal potente, diretto e lineare.

Per questo, Hardwired... To Self-Destruct è il loro miglior album da tempo. A renderlo tale una manciata di pezzi che entreranno nel pantheon della band. Da Halo on fire, otto minuti con sprazzi da vera heavy ballad, a Murder One, dedicata a Lemmy dei Motorhead, all'ottima Am I savage. Senza dimenticare Confusion. Per chi scrive, il miglior pezzo del disco. 

Live Nation
Metallica

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Gianni Poglio