Musica

Bruno Mars, 24 K Magic, la recensione dell'album

Il terzo disco del cantante hawaiano è un omaggio dichiarato all' r&b degli anni Ottanta e Novanta

"Less is more", locuzione che proviene dal mondo dell’architettura e che in seguito è stata mutuata dal design industriale e dalla moda, vuol dire che “meno è di più”. Il terzo album di Bruno Mars, da oggi nei negozi fisici e digitali, ha soltanto 9 brani e dura poco più di mezz’ora (34 minuti e 21 secondi, per la precisione), ma è innegabile che, per vocalità, songwriting, ispirazione e produzione, abbia molto più di tanti lavori pop di oggi.

Sono trascorsi quattro anni dal suo ultimo disco, l’eterogeneo Unhortodox Jukebok del 2012, un’eternità per il volubile mercato discografico di oggi, ma le quotazioni del cantante di origine hawaiana sono cresciute in modo esponenziale con due partecipazioni all’Halftime Show del Superbowl e soprattutto con la hit mondiale Uptown Funk di Mark Ronson, 14 settimane al numero uno della classifica di Billboard e oltre 2 miliardi di stream.

Se a questo aggiungiamo che Mars ha venduto 26 milioni di dischi, è ancora più evidente la grandissima attesa che si respira intorno alla sua ultima fatica discografica, anticipata dai brani 24K Magic e Versace on the floor. Attesa che, diciamo subito, non è stata delusa.

Mars ha dichiarato che in 24 K Magic ha voluto rendere omaggio alle atmosfere della musica r&b con la quale è cresciuto all’inizio degli anni Novanta, periodo in cui la scena black era dominata da Bobby Brown, Blackstreet, Boyz II Men, Babyface e Teddy Riley, anche se in un paio  di brani si avvertono gli echi del funk dei primi anni Ottanta di gruppi come Cameo e Commodores.

L’album parte in quarta con 24 K Magic, un'irresistibile party song che, sulla scia di Uptown Funk, ha evidenti richiami al funky-rap di inizio anni Ottanta, con la talking box iniziale che strizza l’occhio al sound di Zapp & Roger: una canzone, incentrata prevalentemente sul call and response con gli inseparabili Hooligans, il cui obiettivo dichiarato è quello di far ballare, senza troppi pensieri.

Chunky, soprattutto nei synths,  è un chiaro omaggio al Michael Jackson del periodo che va da Off the wall a Thriller (vedi Baby be mine) e, più in generale, al funky-disco di gruppi come Earth Wind & Fire e Kool & The Gang.

Impossibile rimanere fermi con Perm, un funk sporco e torrenziale in perfetto stile James Brown, urletti compresi, che chiude la trilogia dedicata ai brani più ricchi di groove.

Si tira un po’ il fiato con la rilassata That’s what i like, midtempo accattivante e sensuale alla Bobby Brown, dove solo alcuni piccoli dettagli sonori ci fanno capire che siamo nel 2016 e non nel 1986. Mars conferma qui, all’interno di una maiuscola performance vocale, la sua abilità nell'affrontare le note alte.

Versace on the floor, oltre probabilmente a far vendere vagonate di abiti con il celebre logo della medusa, è una ballad emozionante, perfetta per ballare un lento alle feste delle medie, ammesso che nel 2016 si ballino ancora i lenti alle feste delle medie.

Bpm ancora bassi in Straight up and down, con una intro vocale che ricorda Love’s in need of love today di Stevie Wonder, fino a che non subentrano i tanto amati synths e una calda atmosfera soulful. Altra eccellente interpretazione di Bruno, che sembra esaltarsi vocalmente nei brani più lenti.

Se pensavate di trovare in 24 K Magic nove rimasticazioni diverse di Uptown Funk per scatenarvi sulle piste da ballo, vi sbagliavate. Nella languida Calling all my lovelies, in cui il Nostro si bulla di avere numerose spasimanti da chiamare al telefono, diverte la finta telefonata ad Halle Berry, che si nega, lasciando rispondere la sua segreteria: tra le tante qualità di Mars, come conferma il video di 24 K Magic,  c’è anche l’ironia.

Finalmente, dopo quattro brani abbastanza tranquilli, si torna a ballare in Finesse, un travolgente tuffo nel ritmi new jack swing di gruppi come i New Edition (ecco che torna Bobby Brown) e Tony! Toni! Toné!, magari indossando giacche con spalline ipertrofiche e Reebok da basket rigorosamente anni Ottanta.

La chiusura è affidata a Too good to say goodbye, ballata alla Boyz II Men ricca di pathos in cui il cantante di origini hawaiane è stato coadiuvato nella scrittura dal suo nume tutelare Kenneth "Babyface" Edmonds.

24 K Magic è un album che vanta una produzione eccellente, merito dei team Shampoo Press & Curl e The Stereotypes, in cui è impossibile trovare un suono fuori posto, anche se i nove brani non spiccano per originalità. Se prendiamo due eccellenti dischi del 2016 come Blonde di Frank Ocean e Malibu di Anderson.Paak, è evidente che la musica black stia andando verso altre direzioni, con commistioni tra nu soul e rap, ritmi spezzati e atmosfere più rarefatte.

Poco male: Mars è voluto tornare indietro nel tempo per rendere il suo personale tributo a un periodo felice della musica nera, che molti millennials conoscono poco per ragioni anagrafiche, e lo ha fatto con nove canzoni di ottima fattura. Con un paio di brani uptempo in più, forse, l’album sarebbe risultato più bilanciato, ma è probabile che l'enorme successo di Uptown Funk abbia indotto Bruno a smarcarsi un po’ dai brani a presa immediata sul pubblico per perseguire la sua visione artistica.

24 K Magic è un album che rivaluta il ruolo delle ballad, troppo spesso accantonate nel 2016 a discapito di brani pop-dance di dubbio gusto, perché i sentimenti non passano mai di moda. Negli anni Ottanta come oggi.

Getty Images
Bruno Mars in concerto

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Gabriele Antonucci