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(L. Cinquetti, Getty Images)
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Il silenzio colpevole degli intellettuali

Appiattimento, perdita di identità, lontananza dal proprio ruolo. Secondo il poeta e scrittore Davide Rondoni il Covid ha portato alla luce la crisi del mondo culturale italiano

Non dicono niente, o quasi. Molti sacrosanti manifesti contro il fermo della musica, del teatro, dei cinema. Come sono sacrosanti e comprensibili i lamenti di altre professioni (dalle palestre ai ristoratori). Ma, appunto, professioni. Qui sta il primo punto di rinuncia, di astuta vigliaccheria della stragrande maggioranza degli intellettuali italiani in questo momento. Accreditarsi come una professione come un'altra. Decadere dalla propria funzione o compito a mera professione. meritevole certo come altre di tutela, di ristoro, di assicurazione. Ma così al tempo stesso decadendo, dimettendosi dalla propria funzione e compito, dalla verità della propria professione o arte - che è di agitare le coscienze e il potere con delle domande, con delle inquietudini. Che non è "fare politica" ma indagare la verità anche del momento politico.

Nessuna domanda invece, se non da rare voci (da Agamben a Sgarbi, dalla Tamaro al poeta Conte, da Fusaro al sottoscritto) e non molto altro, sul perché si è giunti a tale massiva sospensione della libertà, sulle contraddizioni evidenti (tanto da spingere Procure a indagare sui vertici del sistema sanitario e su strane giochi di documenti nel "famigerato" Comitato tecnico scientifico, come mostrato da una trasmissione un tempo cult Report, non da fonti oscure), sulle falle evidenti di una narrazione ufficiale che accompagna e copre le falle di una gestione sanitaria da massacro, sugli atteggiamenti ambigui delle massime autorità dello Stato in mesi decisivi, sul ruolo di multinazionali nel finanziamento di Organismi internazionali della Sanità mentitori e sul ruolo degli stessi nel grande affare del vaccino.

Nessuna inquietudine sull'appiattimento e spegnimento di un paese dominato da una piccola borghesia dipendente dallo Stato in via diretta e indiretta e dunque più facilmente "accomodabile", né sulla dose di cinismo e depressione buttata con violenza addosso a una generazione di giovani.

Poche domande, poche inquietudini. E molto spregevole esercizio di riduzione d'ogni dubbio o interrogazione al rango spregevole del più idiota negazionismo, o respingendo ogni tentativo di ragionare nell'ombra fastidiosa del vacuo complottismo. Solo generale accodarsi a slogan e luoghi comuni, a verità buttate sul popolo in nome di "evidenza scientifica" da parte di scienziati che si contraddicono o tacciono su questioni rilevanti. Nemmeno buttando un occhio a documenti sotto gli occhi di tutti, dai grafici dell'economia mondiale alle evidenze demografiche pandemiche o alla inaffidabilità di bollettini propinati quotidianamente come bollettini di guerra e del terrore.

Ho sentito con le mie orecchie il maggiore consulente attuale del Ministro della salute, ( che spesso e volentieri in tv veniva presentato come membro Oms fino alla smentita di tale appartenenza per bocca di un direttore italiano della stessa OMS ora al centro delle indagini della procura di Bergamo) affermare che quanto si svolgeva in primavera dalla Protezione Civile e inchiodava gli italiani ogni sera per mesi era una pantomima. Ma non mi pare lo abbia mai detto in tv. Nulla da dire da parte degli intellettuali su tutto questo ?

Come se a un fatalismo mediterraneo e clericale si fosse sovrapposto un fatalismo sanitario e scientista. E come se un diktat avesse -con un profluvio di informazione mediatica martellante e omologata- ordinato: poche domande, non si disturba il manovratore. Ma, come riporta Simona Zecchi nel suo recente e inquietante libro "L'inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini", il poeta friulano già rimproverava poco prima di morire agli intellettuali organici al Pci, occorre innanzitutto aver chiaro che scopo del lavoro intellettuale non è disturbare politicamente il manovratore o chi al manovratore politicamente oppone, spesso con pari occultamento della verità, bensì sollevare questioni di verità politica, su quanto accade alla polis. Interiori e civili. Non farlo -come non lo stanno facendo la maggior parte degli intellettuali più in vista del Paese, cresciuti e foraggiati dai media dominanti in decenni di banale militante indignazione continua- significa dichiarare il proprio fallimento ancor prima che la propria viltà.

Cosa dicono il giornalista d'inchiesta famoso, la pasionaria isolana per i diritti e contro i fascismi? Cosa dicono gli ex giovani scrittori allevati in scuderia da editori di best seller? Cosa dicono i giornalisti culturali cullati nei salotti televisivi? Tale deserto intellettuale, a cui si accompagna come un fantasma il quasi assoluto silenzio anche degli uomini custodi del fuoco del sacro, si offre come panorama inedito ma non sorprendente, in un posto dove sembra contare più il "posizionamento" che la passione per la verità.

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Davide Rondoni