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Wilde Salomé, la "vampira" di Al Pacino – La recensione

Ricostruzione, studio, approfondimento, (meta)teatro e (meta)cinema: così il grande attore crea un'opera originale e turbinosa di forte impatto visivo

La danza purpurea della Principessa dinanzi a Erode può già fare storia. Come una delle scene più sensuali e avvolgenti viste nel cinema recente. La Principessa è Jessica Chastain, stella brillante di Hollywood, Erode è Al Pacino, l’universo, praticamente. Il film Wilde Salomé (uscita 11 maggio).  Dove Salomè è, appunto, la diva Chastain.

Al Pacino escogita, genera e impasta l’opera di Oscar Wilde con lo spirito, subito dichiarato, di fare un film “sulla vita di Wilde, la vita del dramma e la mia vita alle prese con la sua realizzazione”.  Così trasformando in sostanza visiva un’ossessione artistica e un desiderio di penetrazione del mondo wildiano attraverso lo strumento cinematografico par excellence, cioè la macchina da presa. Tenendolo però sospeso, questo occhio elettronico che ovviamente è anche il suo, tra cinema, teatro, letteratura, documentario. Senza che la materia finale aderisca in verità ad alcuna forma espressiva specifica, generando piuttosto un esemplare di metacinema (e, perché no, metateatro) originale, magmatico e turbinoso: capace di frullare immagini mescolando rappresentazione scenica e riflessioni stilistiche, storia e biografia fra New York City, il tempio dell’Actor’s Studio, il deserto californiano, la Los Angeles di dieci anni fa, l’Irlanda, infine Londra.

Dal set al palcoscenico e viceversa

Sulle tracce di Wilde. E su quelle del suo dramma più controverso, fin dalla genesi della sua stesura in francese per Sarah Bernhardt a tutte le rielaborazioni (e censure) successive in ogni forma. Se si vuole, su queste basi teoriche, il film diventa la narrazione dell’allestimento teatrale di Salomè e, al tempo medesimo, la cronaca del suo stesso compimento per lo schermo, dalla prima riunione produttiva all’intera evoluzione della troupe e del cast sul set che diviene, appunto, palcoscenico. E viceversa. Nelle cornici di un approfondimento sul testo e sui personaggi nella forma di esame addirittura meticoloso del loro significato e della loro valenza.

L’ammaliatrice presenta il conto

Il gioco sembra semplice ma in realtà è raffinato e complesso. Richiede – ed ottiene – il sostegno di un montaggio, insieme, vorticoso, funzionale ed equilibrato nelle sue dinamiche. Senza trascurare i cardini della trama originaria e la sua simbologia sterminata, con la seduzione virginale di Salomè che s’impossessa di Erode e della successiva metamorfosi, il conto presentato con la danza ammaliatrice, Giovanni Battista decollato, le labbra carnose e sanguinanti della Principessa nell’inquadratura strepitosa che la trasborda, macabra trasfigurazione, nell’iconografia vampiresca. Siamo al top.

Lettura moderna di un dramma moderno

Salomè fu scritto tra il 1891 e il ’92. Resta un dramma moderno, stratificato,  che Al Pacino rigenera in tutte le forme con tecnica sperimentale, visionaria, strutturalmente dialettica,  proiettata al futuro, cromaticamente infiammata e pure legata al più classico processo attorale d’identificazione e infiltrazione dell’opera nella sua interezza. Lavoro di profilo alto, per certi versi analogo a quello svolto nel 1996 su Shakespeare con Riccardo III – Un uomo un re. Molto validi, anche in questa direzione, i contributi – per fortuna non invasivi - di studiosi, appassionati o cultori di Wilde quali Gore Vidal, Tom Stoppard e Tony Kushner, accanto ai quali figura Bono Vox il quale, rispetto al dramma, non solo parla di “potere distruttivo della sessualità e personificazione del desiderio” ma s’impegna anche in musica donando al film la traccia della sua Salome che in puro stile pop rock accompagna i titoli di coda.

Grandi attori, doppiatori di rilievo

Il cast. Giganteggiano naturalmente Al Pacino e Jessica Chastain, se stessi e i loro personaggi come tutti gli altri:  Kevin Anderson (Giovanni Battista), Roxanne Hart (Erodiade), Estelle Parsons (solo se stessa nella parte della regista teatrale), Joe Roseto (il milite siriano). A loro vanno accostati per la versione italiana dei doppiatori di rilievo: Gabriele Lavia per Pacino, Ivana Pantaleo per Chastain, Annamaria Guarnieri per Hart. Da notare che Wilde Salomè fu visto per la prima volta in Italia, tra molte acclamazioni, alla 68° Mostra di Venezia, dove ad Al Pacino venne assegnato il Queer Lion. Da allora è passato un po’ di tempo: plauso d’obbligo al distributore indipendente che lo sta portando nelle nostre sale.

Distribuzione Indipendente, Ufficio stampa Laboratorio Bizzarro Service, Alessandra Sciamanna, Daniele Silipo

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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