Lav Diaz
Ian Gavan/Getty Images

Venezia 2016, ecco perché Lav Diaz ha vinto il Leone d'oro

È stato premiato un cinema contemplativo e controcorrente. Ecco i motivi del successo del film filippino, punto per punto

Per fortuna le cose migliori della Mostra del cinema di Venezia non rimangono confinate nelle coste del Lido e potranno avere un pubblico più ampio: Ang Babaeng Humayo (The Woman Who Left) di Lav Diaz, il film Leone d'oro di Venezia 73, sarà distribuito nelle sale italiane da Microcinema. Sarà la prima volta che un'opera del maestro filippino arriverà sul grande schermo in Italia, al di là dei festival da cinefili. Applausi a Microcinema, sperando che anche Paradise di Andrei Konchalovsky possa avere simile sorte. 

Qui sotto spiegavo i motivi per cui Lav Diaz ha conquistato Venezia.

(Articolo del 12 settembre 2016, aggiornato il 16 settembre)

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Dopo la brillante apertura con La La Land, la selezione ufficiale di Venezia 73 ha faticato a carburare. Visioni deludenti su visioni deludenti, i primi giorni della Mostra del cinema hanno consegnato film sotto tono, di certo poco meritevoli del Leone d'oro (Arrival e Nocturnal Animals gli unici a salvarsi, incapaci però di conquistarmi davvero). La "delegazione" italiana la più spuntata. Finché non è arrivato Jackie di Pablo Larraín ad aprire alla speranza, poi il meraviglioso Paradise di Andrei Konchalovsky (se ripenso al poderoso finale ancora mi commuovo), e infine Ang Babaeng Humayo (The Woman Who Left) di Lav Diaz, opera fiume in cui vale la pena perdersi. Nel mio cuore la corsa al premio più ambito era a due tra il maestro russo e il cineasta filippino che alla fine, secondo la giuria presieduta da Sam Mendes, ne è uscito vincitore. Entrambi film in bianco e nero. Entrambi, in modo diverso, profondi indagatori dell'animo umano. 

Ecco 5 motivi per cui, secondo me, Ang Babaeng Humayo (The Woman Who Left) di Lav Diaz ha vinto il Leone d'oro. 

1) Un cinema (controcorrente) contemplativo

Regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia: nei crediti di The Woman Who Left compare un unico nome, quello di Lav Diaz. Il cineasta filippino tuttofare è già noto e stimatissimo tra i cinefili da festival. I suoi lunghissimi piani sequenza lo hanno contraddistinto come un innovatore. In un mondo contemporaneo in cui ritmo e fretta sono parole d'ordine, lui ci assorbe con un cinema contemplativo e cadenzato, con opere lunghissime che hanno nell'incedere pensoso - ma narrativo ed emotivo - il seme per sedimentare dentro. Il suo A Lullaby To the Sorrowful Mystery (lungo 8 ore!) ha vinto pochi mesi fa il Premio Alfred Bauer al Festival di Berlino. Nel 2014 Diaz aveva conquistato il Pardo d'oro a Locarno con From What Is Before (5 ore e mezzo). A Venezia si era fatto già notare nella sezione Orizzonti, vincendo la menzione speciale nel 2007 con Death in the land of encantos (9 ore) e il primo premio nel 2008 con Melancholia (7 ore e mezzo). 
Questa volta con The Woman Who Left è stato più "clemente" e succinto: "solo" quasi 4 ore di durata (226 minuti). Ma al di là dello sgomento che può colpire uno spettatore all'idea di inoltrarsi in una simile lunghissima visione, l'esperienza che ne risulta è avvolgente e totalizzante. Tocca le corde più profonde, con sequenze che si soffermano a lungo e permettono di cogliere ogni particolare. E di entrare completamente nella storia.

2) L'esplorazione della lotta dell'umanità

"Il premio va al popolo filippino per la sua lotta e alla lotta dell'umanità": questa la dedica di Lav Diaz sul palco della Sala Grande del Palazzo del cinema. Ispirato al racconto breve Dio vede quasi tutto, ma aspetta (1872) di Lev Tolstoj, The Woman Who Left inquadra Horacia (Charo Santos-Concio), una donna incarcerata ingiustamente per 30 anni, alla sua uscita da galera. Ha una vita distrutta da riparare. La voglia di vendicarsi la percorre. Mentre medita vendetta, lentamente, di giorno e di notte, la miseria dei reietti che incontra sulla sua strada calamita la sua compassione. Horacia pulisce lo strato di sporco dal volto di una barbona, medica l'ano ferito di una trans, fa compagnia e presta denaro a un povero venditore di balut. 
Diaz esplora con profonda sensibilità e senso del vero l'umanità, nella sua lotta quotidiana, nel mistero di ogni giorno. "L'esistenza è fragile. Alla fine di una giornata, in fondo, noi non sappiamo nulla", ha detto il regista a Venezia. "Mi interessa la lotta degli esseri umani".
Nel film corre l'anno 1997, un anno complesso e oscuro: mentre morivano Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta e la Gran Bretagna restituiva Hong Kong alla Cina, nelle Filippine il crimine imperversava, registrando un numero incredibile di sequestri e uccisioni.
Le parole di Diaz al Lido: "La cultura filippina è disfunzionale, come quella dipinta nel mio film. Sapete cosa accade nel mio paese, ho cercato di rappresentare il senso di spaesamento". 

3) Il bianco e nero che parla all'anima

Diaz usa un bianco e nero molto contrastato, in un penetrante gioco di luci e ombre. Oggi che siamo bombardati da immagini, suoni, alta definizione, il bianco e nero rinfranca e ripara. È un unguento che solleva l'anima. Un anacronismo più loquace di mille colori. Non è un caso che in concorso sian stati ben tre i film a usare il bianco nero: oltre a Paradise di Konchalovsky, Frantz di François Ozon. 

4) Una storia semplice che emoziona

Lorenzo Vigas, il regista che l'anno scorso ha vinto il Leone d'oro e membro della giuria di Venezia 73, ha detto che The Woman Who Left ha "toccato ogni giurato emotivamente". The Woman Who Left è una storia semplice, ma che sa toccare il cuore.
Diaz ha detto di essere un semplice narratore e di far film per esplorare la vita e cercare risposte: "Per me il cinema è un mistero, come la vita". 
Il suo film Leone d'oro è un racconto sull'esistenza umana che si chiede quale logica che la muova. Un film che parla a tutti noi.

5) Un incoraggiamento a conoscere Diaz

La giuria presieduta da Mendes ha premiato il cinema "da festival" (da The Woman Who Left a ParadiseLa región salvaje) ma anche il cinema da Oscar (da La La Land a Nocturnal Animals). Di certo il film Leone d'oro non è adatto a ogni tipo di pubblico. Ma anche e proprio per questo ha ottenuto il favore dei giurati. 
"Abbiamo discusso del film di Lav Diaz come abbiamo fatto con gli altri film, c'è stato moltissimo entusiasmo", ha spiegato Mendes. "Dare un premio a un film di questo tipo aumenta le possibilità di farlo vedere a un pubblico più vasto. Abbiamo incoraggiato le persone ad andarlo a vedere".

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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