Nicolas Cage
(Foto Ansa/Claudio Onorati)
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Nicolas Cage a Venezia per "Joe", film cupo dal sapore western

Opera in concorso di David Gordon Green, è l'incontro tra un uomo bisognoso di ridenzione e un ragazzo alla ricerca di una guida adulta. Il divo, autore di un'ottima prova: "La pace nel mondo dipende dai padri"

Basette lunghe e capelli impomatati, camicia bianca su giacca blu Savoia, Nicolas Cage nel pomeriggio lagunare sembra uscito da Grease più che da Joe, film in concorso che debutta oggi alla Mostra del cinema di Venezia (alle 19.30 la proiezione al pubblico in Sala Grande). Sul suo volto una luce smagliante che nulla ha a che fare con il cupo personaggio interpretato alla regia di David Gordon Green, apprezzato regista indie americano che nel 2000 conquistò tutti col suo esordio George Washington.

Con la barba incolta e la faccia di chi ha qualcosa che lo affligge, il Joe Ransom di Cage è un uomo torvo e con le mani sporche, però dal cuore grande. Ha un lavoro tutt'altro che rispettabile, ma che gestisce con rispetto verso i suoi lavoratori. Ha una morale tutta sua e soprattutto una rabbia pronta a esplodere che lo ha condizionato in passato ed è sempre lì, come un fulmine pronto a vibrare. Quando il quindicenne Gary (un promettente Tye Sheridan) si affaccia alla sua vita, in cerca di lavoro, Joe troverà nel desiderio di protezione genuino verso questo ragazzo la strada per la redenzione. Per Gary, invece, vittima di un padre alcolista e parassita, Joe sarà la guida adulta che non ha.

Basato su un racconto di Larry Brown, Green ci consegna un lavoro lontano dai suoi ultimi progetti (le commedie Strafumati e Lo spaventapassere), ambientato in un Sud degli Stati Uniti polveroso e di ampie distese. "Le storie del Sud mi hanno sempre interessato", dice il regista nato in Arkansas e cresciuto in Texas. "È un grande posto dove di tanto in tanto tornare e rifugiarmi".

Accolto da applausi misurati, Joe ha un fascino equilibrato, una regia sicura e godibile che assume talvolta toni western, col piglio americano che trova nelle armi e nella giustizia fai-da-te la risoluzione ai problemi. Cage è superbo e ci fa dimenticare che negli ultimi anni ci ha propinato produzioni alquanto discutibili, seppur a volte dall'appeal commerciale, dai vari Ghost Rider passando per L'apprendista stregone e L'ultimo dei templari. Eppure Cage, uno degli attori più prolifici in circolazione, con fare cortese ma al contempo autoritario e quasi minaccioso, assicura: "Di solito la mia scelta del copione è accurata. Mi prendo un anno per scegliere".

Nel cast, accanto a un divo hollywoodiano come Cage con 35 anni di cinema alle spalle, c'è anche un non professionista, Gary Poulter, nella parte del padre assente e quando presente nocivo. Scovato dal direttore del casting, al suo primo film, purtroppo è morto dopo il montaggio. "È stato un onore lavorare con un attore brillante come Cage, capace di rinnovarsi, ma è stato pure un onore lavorare con uno come Poulter", dice Green. "Aveva un senso della speranza straordinario, qualcosa in lui richiedeva di essere espresso. Ha avuto il terzo ruolo, ha aggiunto onestà alla storia. Lo vedevo già come protagonista di un grande western".

"La pace nel mondo parte dalla casa ed è importante che il padre sia presente e si preoccupi dei figli", è convinto Cage. Si può inneggiare fino alla stanchezza alla famiglia, ma a volte i legami di sangue sono più velenosi del veleno che Joe inietta nei fusti degli alberi per ucciderli. E dagli affetti puri, al di là di vincoli famigliari, può nascere la speranza.

Joe possibile Leone d'oro? Difficile. Ma la Coppa Volpi può annoverare l'ex Ben Sanderson di Via da Las Vegas tra i candidati. E visto che è materia di polemiche in questi giorni, cosa pensa Cage di Ben Affleck nei panni di Batman nel sequel de L'uomo d'acciaio? "Sono felice per Ben che abbia ottenuto questa parte: è un buon attore e ha sempre fatto bene nei film". Certo, tra colleghi è sempre meglio di spada non ferire.

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