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The Teacher, una lezione da non dimenticare – La recensione

Al cinema la storia vera di una strana insegnante nella Cecoslovacchia sovietica. Tra abusi di potere e ricatti scolastici alle famiglie degli studenti

Un inferno, la scuola, quand’è così. Con una insegnante che combina una patologica propensione all’abuso di potere con l’arte del ricatto. E con subdoli, ingannevoli modi dolciastri che cedono repentinamente il passo alle tempeste della vendetta più viperea. Certo, può anche filare tutto liscio. Basta assecondarla e non stuzzicarla.

The Teacher – Una lezione da non dimenticare (in sala dal 7 settembre, durata 102’) s’ispira ad una vicenda accaduta veramente nella Cecoslovacchia del 1983, a Bratislava, in piena “normalizzazione” e sudditanza sovietica sotto la presidenza di Gustáv Husák, con la Primavera di Alexander Dubček oramai sepolta da tempo nelle polverose cantine di stato. Certo, siamo un po’ agli sgoccioli del regime che finirà sei anni più tardi, in un impeto rivoltoso che, a parte Praga, esprimerà proprio a Bratislava i suoi spiriti battaglieri.

Primo giorno di scuola: indagine "propedeutica"

A raccontare la storia della professoressa Maria Drazděchová (Zuzana Mauréry) , che se non fosse diabolica parrebbe simpaticamente amena e indurrebbe alla comprensione per la sua vedovanza, è il regista Jan Hřebejk, cinquantenne praghese - che firma il film col suo sceneggiatore  Petr Jarchovský - già popolare nel suo Paese e di qualche notorietà anche internazionale per essere stato candidato, nel 2001, all’Oscar per la migliore opera straniera col suo Musíme si pomáhat (Divisi si perde). La caratteristica di questa insegnante è di interrogare i propri studenti, nel primo giorno di scuola, sulle attività dei loro genitori. Indagine propedeutica a quella che diverrà la sua principale (pre)occupazione:  ottenere da mamme e papà  servigi, vantaggi e favori di qua di là, in cambio di un occhio di riguardo, anche di tutti e due, per i loro figli.

Tutti al servizio della prof, guai a ribellarsi

Parrucchiera, elettricista, cuoca, idraulico, commerciante di generi alimentari e via così, tutti premurosi ai suoi piedi. Naturalmente quando non si collabora giù votacci e umiliazioni fioccanti come la neve lungo i marciapiedi nell’inverno di Bratislava. Poi ci sarebbe anche il tentativo di concupire un professore di astrofisica abbandonato dalla moglie scienziata che è fuggita a far carriera in Svezia (e per questo accusata di aver tradito il Paese)  lasciando che il figlioletto proseguisse col padre l’avventura liceale. Insomma un caos. Aggravato, se possibile, dal fatto che la compagna insegnante, già moglie di uno scomparso pezzo grosso del regime e con autorevoli amicizie moscovite, abbia la presidenza del locale partito comunista: cosa che, va da sé, moltiplica il suo potere ricattatorio trasformando in arbitrio ogni suo desiderio peraltro espresso con mellifluo, ritroso e falso pudore.

Ma c’è chi non ci sta e si rifiuta di reggere il gioco. A costo di vedersi strapazzati figli e figlie. Arriva così la denuncia alla preside, che da parte sua non vede l’ora di liberarsi della perfida Drazděchová: il destino della quale verrà deciso in una drammatica assemblea di genitori divisa tra aspirazioni alla verità, voglia di rivalsa, paura di ritorsioni e convinta difesa “politica” dell’accusata. Può darsi allora che la giustizia prevalga nel segno di un allontanamento, nonostante le intimidazioni, in una specie di tana libera tutti. Ma se sarà letizia collettiva dovrà tener conto di un’altra profetica e sempre valida minaccia: loro, i pessimi, a volte ritornano.

Un processo al metodo, forse all’intero “sistema”

Il film, anziché proporsi in una banale progressione di eventi, è costruito come un processo con scansioni temporali differenti, in una lunga udienza che pare assorbire – in maniera anche allegorica – istanze e dubbi sull’intero “sistema”. Struttura intelligente ed elegante, poggiata su un presente narrativo, quello del dibattimento fra i genitori, che viaggiando attraverso le varie testimonianze ricostruisce gli eventi e ritrae con precisione ed efficacia i personaggi: mai dando l’impressione di voler spremere la risorsa facile-facile del flashback stilisticamente congegnato e concepito come tale, piuttosto valorizzando al massimo le istanze di un montaggio alternato che suggerisce una piacevolissima sensazione di contemporaneità nelle varie fasi del racconto. Dove peraltro i fatti presenti e quelli trascorsi restano ben distinti sia pure in una connotazione intensamente dialettica e interattiva.

Recitazione, montaggio e fotografia: elementi di qualità

Espediente fruttuoso e persuasivo, che giocando sui differenti piani periodici sviluppati nei medesimi luoghi (la scuola, le abitazioni dei ragazzi e della professoressa) realizza un insieme armonico e ben cadenzato, molto vivace nei dialoghi e nelle nuances generali della rappresentazione, incrementato dalle sapienti analogie cromatiche escogitate nella fotografia di Martin Žiaran, nella migliore tradizione figurativa del cinema del suo Paese. Tra le cose qualitativamente migliori del film restano lo sguardo critico, austero, obiettivo e rigoroso su un trascorso politico cecoslovacco ancora da decifrare fino in fondo; e la recitazione di Zuzana Mauréry, semplicemente grandiosa, ricca di mezzitoni e di polivalenze espressive. Tra gli altri colpisce l'intensità tristemente acquosa nello sguardo della giovine Danka Kucerová (Tamara Fischer), vittima  fragile e privilegiata dell'orrenda prof che con la sua forma di mobbing arriva a farle tentare addirittura il suicidio.

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Satine Film distribuzione, Ufficio stampa Manzo e Piccirillo
Il liceo di Bratislava teatro dei misfatti dell'insegnante. Il film di Jan Hřebejk e Petr Jarchovský è tratto da una vicenda realmente accaduta nella Cecoslovacchia del 1983.

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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