Sverrir Gudnason
ANSA/CLAUDIO ONORATI

Sverrir Gudnason: "Mi preferite tennista o cronista?"

Dopo essersi trasformato in Bjorn Borg, l'attore svedese è il giornalista Mikael Blomkvist del nuovo film "Millennium - Quello che non uccide"

Non sono tanti gli attori europei che riescono a farsi strada a livello internazionale. Se poi non hai il physic du role da macho, latin lover o sex symbol, allora è difficile avere speranze. A sfatare quest'ultimo luogo comune ci ha pensato Sverrir Gudnason, 40 anni, svedese di origini islandesi, già applaudito a livello internazionale per aver portato sullo schermo manie e tormenti del tennista-mito Björn Borg nel film Borg McEnroe.

Dal 31 ottobre Gudnason torna al cinema con un ruolo decisamente diverso, il riflessivo e instancabile giornalista Mikael Blomkvist di Millennium - Quello che non uccide, appena presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. C'era anche Sverrir, sul tappeto rosso, accanto alla "sua" Claire Foy: la beniamina di The Crown è la nuova Lisbeth Salander, l'esperta hacker che in questo nuovo episodio della saga è in versione superoina/vendicatrice (sempre contro gli "uomini che odiano le donne"). Per smarcarsi dal suo stesso passato, Lisbeth torna da Blomkvist in cerca di aiuto: la scena dell'incontro tra i due ha dello spettacolare. Non si vedono da tre anni, si reincontrano dalle pareti di vetro di due ascensori uno di fronte l'altro. Non è facile ereditare il personaggio della saga di Stieg Larsson cui hanno già prestato talento, volto ed esperienza attori del calibro di Daniel Craig o di Michael Nyqvist. Specie se, inconsciamente, lo si vive come una sorta di passaggio di testimone. Lo confida lo stesso Gudnason a Panorama: "Se ero intimidito? Più per Nyqvist che per Craig. Michael è scomparso da poco: era un mio amico, oltre che un attore sensazionale".

Chi è il suo Blomkvist?
"Un ragazzo che vuole trovare la verità, per lui un articolo è più importante di qualsiasi cosa. Certo, all'inizio della storia lo troviamo molto depresso, è stato cacciato dal suo giornale, forse ha un problema di alcol, vorrebbe portarsi a casa una collega che gli preferisce il marito. Quando ritorna Lisbeth, e i due si rivedono dopo tre anni, è come se gli riaccendesse una scintilla. Sono importanti uno per l'altro, hanno una relazione speciale, per lui Lisbeth è come la droga, il veleno del drago, non può farne a meno. Ha sofferto la sua assenza, lei lo sente e sa che lui è l'unico di cui si possa davvero fidare. Quando gli chiede aiuto, lui non potrebbe mai non correre in soccorso".

È duro "ereditare" un personaggio così conosciuto?
"L'hanno interpretato attori così diversi, ognuno gli ha dato un tono proprio, differente. Daniel Craig non lo conosco, Michael era un caro amico, ad ogni modo volevamo realizzare un film nuovo, basandoci ovviamente sulla pagina scritta. È il primo adattamento cinematografico del quarto romanzo della saga Millennium, scritto da David Lagercrantz (edito in Italia da Marsilio Editori, ndr) che ha raccolto il testimone di Larsson, autore dei primi tre libri. In Scandinavia siamo forti con la letteratura. Tra l'altro gran parte delle riprese sono state effettuate a Stoccolma. La prima volta che mi capita di girare a casa. L'emozione è stata grande".

Con Claire Foy come vi siete trovati?
"Ho scoperto un'attrice super-umana. Quando inizio a girare un film sono sempre un po' nervoso prima di incontrare i colleghi. Me li immagino in un modo, a volte stacanovisti, invece Claire è davvero gentile, carina, normale. La ammiro molto, non me l'aspettavo così alla mano".

Che ricordi ha dell'esperienza nel film Borg McEnroe, che lo ha fatto conoscere nel mondo?
"Quel film ha rappresentato una sfida fisica incredibile, ho dovuto mettere su muscoli e peso giusti e imparare a giocare a tennis allenandomi duro per un anno e mezzo prima di iniziare le riprese".

Gioca ancora?
"No, ho smesso, perché avevo iniziato a giocare ossessivamente ogni giorno. Poi mi hanno chiamato per un altro film in cui dovevo suonare perfettamente la tromba, anche qui mi sono dovuto preparare adeguatamente, ho dovuto prendere lezioni ed è finita, anche in questo caso, che ho iniziato a suonarla di continuo".

Adesso che interpreta un giornalista come si è preparato?
"Ah beh, ho preso ispirazione da voi che mi intervistate da anni! Naturalmente non è stata una sfida da un punto di vista fisico, però ho avuto modo di parlare con tanti giornalisti, capito cosa c'è dietro la voglia di arrivare alla verità e l'importanza di firmare una grossa inchiesta. Ogni ruolo è una sfida. Quando lo accetto dico sempre: 'Ah beh questo è facile'. Poi inizio a lavorarci e capisco ogni volta quando mi sbagliassi".

Ha fatto tanto cinema indipendente e d'autore: com'è passare a una grossa produzione come quella di Millenium?
"Era una domanda che mi ponevo anche io. Poi con sorpresa ho scoperto che è esattamente la stessa cosa: c'è solo più gente, più materiale e più soldi".

Posso chiederle di indicarci chi sia, oggi, il suo modello?
"Se pensa che le faccia il nome di Al Pacino, Robert De Niro o di un altro mostro sacro del cinema si sbaglia. Le dico che il mio modello di vita e di tutto è mio nonno, che mi ha lasciato pochi mesi fa. Non era un attore, era un uomo semplice, giusto, di quelli da stimare. Era divertente, gentile, ma anche molto forte: un'ispirazione per tutta la famiglia. Spero un giorno di poter diventare come lui".


(Articolo pubblicato nel n° 46 di Panorama dal 31 ottobre in edicola con il titolo "Mi preferite tennista o cronista?")

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Claudia Catalli