Snowden al cinema: la recensione dell’Ed che ha sconvolto il mondo
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Snowden al cinema: la recensione dell’Ed che ha sconvolto il mondo

Oliver Stone porta la storia del Datagate sul grande schermo. Tra verità e finzione resta una lezione: la privacy va preservata. Sempre

C’è un preciso momento, durante il film, in cui capisci che presto qualcosa nella storia di Edward Snowden potrebbe cambiare. La scena in questione riprende le dichiarazioni di alcuni politici dopo la scoperta dell’identità dell’informatore della National Security Agency, indicato come traditore, spia e nemico. Nel particolare, l’allora magnate Donald Trump, risolveva così il dilemma su come, quando e perché rimpatriare il ragazzo: “Si può sempre giustiziare”. Frase vera, detta nel 2013 durante uno dei tanti notiziari e che, alla luce dell’elezione a presidente, lasciano un retrogusto diverso dalla quasi neutrale distanza presa da Obama nei confronti di Ed.

Donald Trump: grazia o esecuzione?

Sappiamo bene quanto esageratamente folkloristica sia stata la campagna di Trump e quanto poco ci abbia messo a raffreddare i toni contro la rivale, una volta eletto. Probabilmente non farà giustiziare Snowden ma le idee su come gestire gli strumenti e le tecniche di monitoraggio nelle mani della NSA restano, così come la convinzione che non servano molto né il Patriot Act né il tribunale del FISA per riattivare (se mai si fossero fermati) i software che abbiamo imparato a conoscere negli anni e con cui i federali tracciano stranieri e regolari cittadini.

Oliver Stone, a differenza di precedenti biografie da lui dirette, non disegna in “Snowden”, nelle sale da oggi e visto in anteprima grazie a un progetto della compagnia di cybersecurity F-Secure, un personaggio forte, autorevole, eroico. La figura è quella di un geniaccio che sorprende i suoi superiori per le capacità tecniche e la velocità con cui prende decisioni in momenti chiave di alcune operazioni segrete ma anche per la fragilità emotiva mostrata in più di un’occasione, che alla fine lo spingerà a rivelare al mondo quante volte il governo ha superato il limite della decenza, spiando persone che davvero non avevano nessun legame con terroristi e criminali e la cui unica colpa era di avere un account Facebook, la porta principale per entrare nel “paese delle meraviglie”.

La storia d'amore

Della storia di Prism e software connessi sappiamo oramai tutto, ovvero niente, visto che tante volte chi ha incontrato per la prima volta Snowden (i giornalisti del Guardian, Glenn Greenwald e Ewen MacAskill e la documentarista Laura Poitras) ha affermato che è stato pubblicato più o meno il 2% di tutto l’archivio nelle mani dell’informatico della Carolina del Nord. Per ora però abbiamo questo e dunque Stone, basandosi sui libri The Snowden Files di Luke Harding e Time of the Octopus di Anatoly Kucherena, decide di raccontare qualcosa in più sul grande schermo, puntando i riflettori sul rapporto di Ed con Lindsay Mills, la ragazza che lo segue praticamente ovunque, dal Giappone alle Hawaii, fino a Mosca, dove oggi vivono a seguito dell’asilo politico concesso da Putin.

Lo sfondo è sempre quello dello spionaggio a 360 gradi della NSA, che la pellicola ha il merito di calare pienamente nel tessuto sociale dell’esistenza 2.0 che pervade i tempi moderni. “Analizzare i due gradi di separazione di un gruppo di 400 persone equivale a tracciare circa 20.000 individui – spiega uno degli smanettoni al servizio del dipartimento di Intelligence USA – e noi possiamo sapere tutto di loro, senza filtri”. È finzione cinematografica nelle parole ma realtà nei fatti. Il film è anche didattico sotto certi punti di vista: attaccare un po’ di nastro adesivo sulla webcam quando non serve, mettere lo smartphone nel microonde (spento ovviamente) se si vuole limitare il raggio d’azione del microfono (attivabile da remoto), digitare le password degli account personali stando attenti a non essere visti da nessuno.

Controllo e privacy

Un vademecum pro-privacy insomma, che non è ben chiaro quali conseguenze possa davvero evitare, quando il Grande Fratello americano, parte dei “Five Eyes” (con Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito) ha dimostrato di poter arrivare dove vuole, accontentando persino le richieste dei mariti gelosi. “Snowden” fa riflettere su quanto interessanti siano le nostre vite agli occhi degli esterni e quante deboli infrastrutture le proteggano dagli occhi di agenzie governative e pirati indipendenti. Il rischio è che una volta usciti dalla sala si torni a digitare la stessa chiave di sicurezza123456” per l’accesso al computer, a Gmail, Outlook, Facebook, Dropbox e tutto il resto, pensando che se una persona non ha segreti da nascondere non bisogna temere nulla. Ma in questo modo si perde un sacrosanto diritto, prima ancora di utilizzarlo.

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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