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Quo vado? L’odissea comica di Checco Zalone

Gag, battute, risate e riflessioni sul mito del posto fisso e sull’Italia spaesata e incapace di cambiare. Un film che segna l’evoluzione dell’artista

Luca Medici uguale Checco Zalone. Ovvio. Vero nome e nome d’arte. Tutti lo sanno. Né superfluo né banale, però, constatarlo e rimarcarlo.

Perché al cinema l’identificazione triangolare tra l’uomo, l’attore e il personaggio si è, per così dire, stabilizzata, fino a diventare una costante, a partire dal nome di quel protagonista chiamato semplicemente “Checco” che ritroviamo in Cado dalle nubi, Che bella giornata e Sole a catinelle, nei titoli, non certo nei contenuti molto terreni, un trittico dell’atmosfera giocato sulla parola e sulla sua proiezione dinamica.

Lo stesso gioco e lo stesso “Checco” uno e trino che ritroviamo anche oggi in Quo vado?, dove l’interrogativo di matrice errante non nasconde il classico imbarazzo della scelta ma il senso di uno spaesamento sconcertato.

La mitologia del “posto fisso”
Niente scrematura selettiva, dunque. Il quesito direzionale nasce stavolta da un paradosso, legato al mito del “posto fisso”. Una conquista per l’italiano Checco, impiegato alla Provincia, che a 36 anni vive coi genitori protetto e coccolato; e che per conservarlo e difenderlo, quel posto, all’abolizione dell’istituto provinciale, viene costretto alle prove più estreme di sopravvivenza, naturalmente lontano da casa, spostato  e sballottato negli angoli remoti della terra.

Lo perseguita una funzionaria dello Stato che ha il solo compito di far firmare le dimissioni a quei dipendenti che non accettano la mobilità, cioè praticamente a tutti.

Salvo, appunto, quel Checco aggrappato con le unghie allo stipendio garantito, tanto da superare le peggiori difficoltà trasformandole anzi  in altrettante prodezze, in un’odissea che va dagli angoli sperduti dell’Italia fino alla Norvegia e al Polo Nord dove, tra orsi bianchi, elefanti marini e lunghe notti nordiche con tanto di aurore boreali  incontra anche l’amore di una giovane ricercatrice che può cambiargli vita, aspirazioni, educazione, in definitiva “cultura”.

L’Italia spaesata che non cambia
Quel che non cambia, invece, è l’Italia. Come, un po’ celentaneggiando,  Zalone canta nel finale decretando che “la prima Repubblica non si scorda mai”. Con vizi pubblici e privati che a volte ritornano. In un paese spaesato che vorrebbe cambiare abitudini ma non ci riesce e forse non vuole, da una parte appeso a furbizie e privilegi di una macchina statale che procede sbuffando e sferragliando, male abitata e altrettanto mal guidata, dall’altra sospeso nell’incertezza, nell’instabilità e nella perdita di garanzie codificate.

Tutto questo, naturalmente, Zalone, come sempre associato al suo regista elettivo Gennaro Nunziate, lo racconta con i modi che gli sono più congeniali. Elaborando codici di una comicità intelligente, avveduta,  smagliante e sobria allo stesso tempo, capace con gag e battute di generare e dispensare al momento giusto risate, riflessioni, perfino un indizio di commozione nell’epilogo edificante e antiretorico, modellato sui temi della carità, dell’altruismo, della fratellanza universale.

Evoluzione dell’arte comica
Se lo schema narrativo di Quo vado?  non si discosta troppo da quello dei tre film precedenti, con l’elemento istigatore, lo “scarto” che sollecita l’erranza del protagonista, il suo sviluppo è senz’altro più evoluto e completo rispetto al passato, anche nei suoi risvolti spassosi, ameni e brillanti, nella mimica facciale e corporea, nelle continue alternanze e nei cambi di direzione – non solo geografica - del racconto.

Una mobilità che consegna un Checco Zalone a tutto tondo, ormai in grado di oscurare perfino Benigni, assai vicino a modelli artistici preminenti e consacrati, anche nei moduli di costruzione e sviluppo dei personaggi relativamente alla dimensione unitaria della loro opera e alla possibilità di renderli riconoscibili. viene di pensare, con le giuste distanze anche temporali, a Jacques Tati e al suo Monsieur Hulot. In fondo, i grandi comici della storia hanno sempre elaborato a loro modo il quotidiano sociale di appartenenza, restando soprattutto comici. Combinando senza volgarità delicatezza, estro, talento e umorismo.

Armonia di regia e recitazione
Accanto a Zalone recitano Eleonora Giovanardi nei panni di Valeria, la ricercatrice che fa innamorare Checco, Sonia Bergamasco in quelli della crudele testarda funzionaria, Maurizio Micheli e Ludovica Modugno in quelli dei protettivi genitori del protagonista, Lino Banfi nel largo cameo di un senatore della prima Repubblica destinata a perpetuarsi. Tutti ben diretti da Nunziante, che lavorando sulla brevità delle scene accorda ritmi, situazioni e battute in bella armonia, concedendosi anche un’efficace ricercatezza nelle immagini con la fotografia firmata da Vittorio Omodei Zorini.

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Taodue Film, Medusa Film, Ufficio stampa Fosforo Comunicazione, foto di Maurizio Raspante
Checco e la ricercatrice della quale si innamora Valeria (Eleonora Giovanardi) "studiano" un orso polare che hanno addormentato al Polo

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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