Quel che sapeva Maisie, dal libro al film: 5 motivi per vederlo
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Quel che sapeva Maisie, dal libro al film: 5 motivi per vederlo

Dal romanzo di Henry James una lettura contemporanea della famiglia disfunzionale. Delicata e toccante

Delicato e sincero, Quel che sapeva Maisie è uno di quei piccoli film silenziosi ricchi di meriti. Dal 26 giugno al cinema, certo non è il capolavoro dell'anno e non scava con ostinazione in profondità, ma proprio restando sulla superficie della quotidianità di tante vite di oggi dà un vivido rimando di autenticità. E regala 95 minuti toccanti di buon cinema. 

Ecco cinque motivi per vederlo.

1) Henry James riletto in chiave contemporanea

Nel 1897 lo scrittore statunitense Henry James nel romanzo Che cosa sapeva Maisie (What Maisie Knew) ritraeva una coppia di genitori irresponsabili vista con gli occhi della loro figlia sensibile, nel periodo di tempo intercorrente tra la sua prima infanzia e la precoce maturità. Una condanna evidente verso quegli adulti che trascurano i propri doveri nei confronti della prole. 
Il collaudato duo di registi americani Scott McGehee e David Siegel rilegge questa storia in chiave contemporanea, sull'idea dello sceneggiatore Carroll Cartwright. La moderna famiglia disfunzionale diventa protagonista in tutte le sue amnesie e i suoi egoismi. 
Grazie al film ora in sala (distribuito da Teodora Film dopo esser passato al Festival di Toronto nel 2012), diventa intrigante anche riprendere (o prendere) in mano il libro di James.

2) La famiglia disfunzionale nello sguardo dolce di Maisie

Julianne Moore è Susanna, una rockstar distratta e tutt'altro che equilibrata che tra le varie cose cerca anche di amare sua figlia Maisie (Onata Aprile), bimbetta di sei anni; a tratti pensa anche di farlo, ma alla fine l'assuefazione a soddisfare il proprio ego prevale sempre. Steve Coogan (il brillante e cinico giornalista di Philomena) è Beale, marito di Susanna e padre di Maisie, sempre in giro per il mondo, affabulatore sorridente e poco presente. Tra Susanna e Beale è bufera, divorzio, battaglia a suon di grida e nuovi giovani compagni: da una parte per Beale c'è la dolce e bionda tata Margot (Joanna Vanderham), dall'altra per Susanna c'è l'aitante Lincoln (Alexander Skarsgård). 
I diverbi, le scenate, le promesse e gli appuntamenti mancati, tutto è visto con lo sguardo della piccola Maisie. La telecamera spesso si muove alla sua altezza. Non c'è giudizio in quello sguardo taciturno e dolcissimo. Come capita ai bambini, Maisie a volte sembra non notare le urla, tutta presa a ritirare con gioia una pizza o a giocare. Non afferra appieno tutto quello che le accade attorno. Ma è evidente che dentro di sé ne coglie il significato profondo. E che tutto ciò che vorrebbe per sé è solo un po' di pace e affettuosa routine, semplice e pacata, senza ricatti e repentine strattonate.

3) Una lezione per i grandi, in perfetto stile indie

Quel che sapeva Maisie è un film da vedere, a mo' di insegnamento, perché rappresenta tutto quello che un genitore non dovrebbe fare: parlare male dell'altro genitore con proprio figlio, mettergli in bocca parole da riferire davanti a un giudice, dimenticarsi di andarlo a prendere, affidarlo a un altro adulto senza neanche sincerarsi che al di là della porta ci sia il destinatario del "pacco"...
Per la tematica di fondo può ricordare Incompresa di Asia Argento, ma lo sguardo della regista italiana è più esasperato, grottesco e in prima persona. 
McGehee e Siegel si tengono più a distanza, anche se nel loro film deliziosamente indipendente infondono dettagli preziosi e caldi, mentre sullo sfondo si muove una New York livida. Una scena mi è particolarmente rimasta nel cuore: Lincoln e Maisie attraversano la strada, lui muove un passo ma lei aspetta rigorosamente il verde e, quando il semaforo dà il lasciapassare, s'incammina cercando la mano grande di Lincoln. 

4) Interpretazioni potenti, Onata su tutti

Del quintetto centrale di attori ognuno fa del suo meglio. Se Julianne Moore è fastidiosamente credibile, così nevrotica, così manipolatrice, Alexander Skarsgård è il gigante buono accanto a cui la piccola Maisie trova protezione e complicità. L'attore svedese della serie tv True Blood è solido e accogliente, senza sdolcinati svolazzi emotivi. Il merito è anche della regia che è empatica ma mai compiaciuta nel sentimentalismo. 
Su tutti, però, è la piccola Onata Aprile a svettare, nella sua esile stazza, in quei piedi che trascinano a fatica gli stivali messi dalla mamma, nei suoi occhi acquosi che a volte si perdono a guardare le decorazioni di un soffitto. Il suo visino docile e sballottato racchiude tutta la tenerezza del mondo, e non perché profonda ammiccamenti, sbatter di ciglia e sorrisi rubacuori. Recita con una spontaneità naturalistica, lontana ad esempio dall'enfasi zuccherosa della bimba protagonista di Instructions Not Included, commedia messicana ugualmente in sala dal 26 giugno.

5) La drammaticità non è esasperata

Nonostante la tematica trattata, Scott McGehee e David Siegel mantengono comunque sotto controllo il livello della drammaticità, concedendo anche momenti in cui viene stemperata. Il finale forse è prevedibile o forse è l'unica soluzione possibile. Emozionante la canzone di chiusura, Feeling of Being cantata da Lucy Schwartz.

 

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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