Nagisa Oshima, addio al poeta della passione
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Nagisa Oshima, addio al poeta della passione

Si è spento a 80 anni uno dei registi giapponesi più conosciuti e amati dal pubblico occidentale. Tra i suoi film più celebri, Furyo con David Bowie ed Ecco l'impero dei sensi, un capolavoro del cinema erotico

"Un regista può, anzi deve, trattare qualsiasi argomento". Lo ripeteva spesso Nagisa Oshima, il maestro del cinema giapponese scomparso oggi in un ospedale nei pressi di Tokyo, stroncato da un'infezione polmonare. Aveva 80 anni, quaranta dei quali li aveva dedicati al cinema, con uno stile che sapeva essere a seconda dei casi scioccante o gelido, pacato o intransigente.

Fibrillato dalla notte dei Golden Globes e dal coming out di Jodie Foster, il mondo degli studios ha accolto con una sobrietà che puzza di indifferenza la scomparsa di un artista che davvero non la merita. Oshima infatti, al di là dell'indiscutibile talento, è stato uno dei pochi registi giapponesi capace di farsi conoscere e apprezzare dal pubblico occidentale.

Merito soprattutto del suo film più celebre e controverso, Ecco l'impero dei sensi, “esploso” al Festival di Cannes 1975 (dove l'organizzazione fu costretta ad allestire in fretta e furia una serie di proiezioni supplementari) e assurto in breve al rango di capolavoro del cinema erotico. È la storia (ispirata a un fatto di cronaca avvenuto negli Anni 30) della travolgente passione fisica tra il titolare di una pensione e una cameriera, una vera ossessione che annulla ragione e convenzioni sociali, e si fa sempre più estrema fino al drammatico epilogo.

Un lavoro cupo, rigoroso, che indaga a fondo sul tema più caro a Oshima, il rapporto tra Amore e Morte, ma - pur senza mai scadere nel voyeurismo - sconta a caro prezzo la scelta di mostrare in modo assai esplicito gli amplessi tra i protagonisti. In Italia, lo ricordiamo non senza vergogna, il raffinatissimo cineasta di Kyoto viene trattato come un pornografo da quattro soldi, e il trattamento riservato al suo film ricorda  l'imbarazzante crociata contro Bernardo Bertolucci, messo in croce pochi anni prima per Ultimo tango a Parigi.

Se, al di là di tutto, L'impero dei sensi è un'opera comunque destinata a risultare disturbante, suscitando reazioni estreme, c'è un'altra pellicola di Oshima che invece ha messo tutti d'accordo: Furyo (1983), un capolavoro assoluto che, per una curiosa coincidenza, vede nei ruoli principali due star della musica, David Bowie e Ryuichi Sakamoto. Ambientato in un campo di prigionia di Giava durante la Seconda guerra mondiale, racconta la passione morbosa, tra sadismo e attrazione fisica, che il comandante sviluppa nei confronti di un ufficiale inglese.

Uno dei film che meglio hanno illustrato l'assurdità della guerra, di un odio tra i popoli che si presume innato mentre invece è solo indotto, della speranza di un dialogo tra gli uomini che alla fine prevale su qualsiasi efferatezza. Basterebbe già questo per consegnare Oshima alla storia del cinema, ma sarebbe ingeneroso dimenticare L'impero della passione, un'altra storia di amore “maledetto” che gli valse nel 1978 il premio a Cannes per la miglior regia.

Una volta, rispondendo a un giornalista che cercava di scoprire la ragione di certe sue scelte scandalose, spiegò: "Non importa che film si fanno, l'importante è essere liberi". Chapeau.

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Alberto Rivaroli