"Miele" di Valeria Golino, 5 motivi per vedere il film
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"Miele" di Valeria Golino, 5 motivi per vedere il film

L'attrice debutta alla regia. Con una storia di morte assistita e interiorità. Un esordio coraggioso, con qualche sbavatura ma tanto di buono

Dopo aver già imboccato la strada della regia con il cortometraggio Armandino e il Madre, l'attrice Valeria Golino ci riprova, questa volta con il suo primo lungometraggio dietro la macchina da presa. Ecco Miele, dal 1° maggio nelle sale, un film che al contrario della dolcezza che ispira il titolo sa essere aspro e duro, come lo è la morte assistita. "Ad alcuni colpisce la parte più livida, ad altri quella luminosità che in qualche modo possiede la storia", ha detto la cineasta riccioluta che, pur con la sua ampia carriera - anche internazionale - alle spalle, si presenta ai giornalisti con quella lieve trepidazione degli esordi.

E anche Riccardo Scamarcio, il bel giovanotto che la accompagna nella vita e che insieme a Viola Prestieri le ha prodotto il film, si aggira con il sorriso chiedendo a chi ha appena assistito alla visione: "Ti è piaciuto?".

Sì, mi è piaciuto, pur se si avverte talvolta la foga del debuttante e la voglia di inserire abbellimenti narrativi un po' ridondanti. Altre volte, soprattutto nella seconda parte, si patisce un po' un registro sì coerente e attento alla forma, incentrato però tutto sull'interiorità della protagonista, col rischio di diventare monocorde.
Ma questi sono vizi veniali, che non offuscano almeno 5 buoni motivi per vedere il film, rappresentante italiano al prossimo Festival di Cannes , sotto la categoria Un certain regard.

1) L'eutanasia affrontata senza giudizio. Dopo Amourdi Michael Haneke e Bella addormentata di Marco Bellocchio anche Valeria Golino "osa" trattare una tematica coraggiosa e ostica come quella dell'eutanasia. Lo fa tramite la figura di Miele (Jasmine Trinca), una ragazza che ha scelto come lavoro quello - per niente legale in Italia - di aiutare le persone malate e sofferenti a morire. La Golino filma però senza alcun intento ideologico, senza dare risposte e senza cercare confronti coi due illustri predecessori, trovando una strada totalmente sua. "Quando ho saputo che Haneke e Bellocchio stavano scrivendo i loro film e che sarebbero usciti prima del mio, mi sono sentita schiacciata", racconta Valeria con umiltà e ironia. "Abbiamo cercato di finirlo il prima possibile", scherza Scamarcio, che è anche autore di qualche secondo di girato, tramite la sua D5. E ancora Valeria: "Ho visto i loro film solo dopo il montaggio di Miele. Avevo l'apprensione di essere condizionata".

2) Jasmine Trinca, de nuevo tu. L'abbiamo appena vista in Un giorno devi andare di Giorgio Diritti, e ora Jasmine torna con un nuovo ruolo da piena protagonista. È lei che riempie ogni respiro, ogni bracciata nel mare di Fregene, ogni sguardo di Miele. L'attrice è in pieno splendore artistico, solida e capace di reggere tutto un film sulle sue spalle, di un'intensità convincente, che solo talvolta rischia però di strabordare. "È l'età della maturità, scavalcati ormai i 32 (compiuti lo scorso 24 aprile, ndr): s'è svegliata la Trinca", scherza lei amabilmente.

3) Il maestro Carlo Cecchi. A rompere la routine di "angelo della morte" di Miele entra un ingegnere cinico e riservato, che ha bisogno dell'aiuto di lei per morire. Vuole farla finita però non perché malato, solo perché ha perso ogni interesse per la vita. Lo interpreta uno dei migliori attori di teatro nostrani, Carlo Cecchi, che dà al suo personaggio charme, distacco, sagacia, inafferrabilità... "Carlo Cecchi è stata la prima scelta", racconta la Golino. "Mi interessavano la sua reticenza, la sua leggerezza, la sua presenza comunque giovanile".

4) A 46 anni il coraggio di un esordio. "Dopo il corto, era un'esigenza realizzare un film da regista", dice Valeria Golino, che ha trovato nel romanzo A nome tuo di Mauro Covacich la storia da raccontare. Una storia agrodolce e difficile, che potrebbe rischiare di strizzare l'occhio all'emotività, di spingere troppo sul dramma, di sollecitare intenzionalmente le lacrime. Valeria invece non lo fa, anche ben consigliata dal suo staff: "Il direttore della fotografia, l'ungherese Gergely Poharnok, mi ha suggerito di evitare sequenze di sogno: gli unici momenti in cui Miele ricorda la madre sono legati al bianco della neve". La tematica dell'eutanasia può essere sabbia mobile in Italia, ma Valeria non ha paura: "Non temo reazioni politiche o della stampa sull'eutanasia, temo anzi che non ce ne siano. Ben venga se Miele servisse a parlarne". Valeria è anche autrice della sceneggiatura, insieme a Francesca Marciano e Valia Santella. Rimettersi in gioco a 46 anni, cercando anche una cifra autoriale, è una scelta di tutto rispetto.

5) Colonna sonora e immagini. Le inquadrature sono ricercate, tra giochi di specchi, vetri, corridoi (è avvolgente il gioco labiale, di sguardi e di mani tra Miele e il ragazzo della discoteca interpretato da Gianluca De Gennaro). Le musiche che accompagnano il film sono un puzzle intrigante, dalla superba Io sono il vento eseguita da Marino Marini alla chanson francese Les Sabots D'Helene di Georges Brassens ai ritmi elettro-pop di Found out eseguita da Caribou. "Non volevo una colonna sonora di commento al film, non volevo essere io a suggerire la commozione", racconta la regista. "Ho inserito musiche che mi piacevano, che mi ha fatto sentire Riccardo o amici. Io sono il vento l'ho ascoltata a casa della mia sceneggiatrice. (Nothing but) flowers dei Talking Heads è l'unica già presente nel libro". Scamarcio aggiunge: "Tonadillas di Granados la voleva usare Sergio Rubini nel finale del film Colpo d'occhio: gli abbiamo chiesto di usarla".

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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