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Lights Out: terrore nel buio – La recensione

Diana è una furia e si materializza con l’oscurità in uno spaventoso gioco di presenza/assenza. Così l’horror esplora le radici della paura

Difficile da descrivere. Bisognerebbe vederla e più che altro evitare di incontrarla, soprattutto di notte. Si chiama Diana. Ma non è una principessa. E neppure una vecchia canzone di Paul Anka. È un mostro, invece. Generato dalla follia di Sophie, una madre che risucchia nel suo gorgo caliginoso e funesto il marito Paul che, appena entrato nella storia, ne fa subito le spese e i figli Rebecca e Martin cui fa vivere – e allo spettatore con loro – un incubo a cielo aperto.

Lights Out: terrore nel buio(sugli schermi italiani dal 4 agosto) è l’opera di prima di David F. Sandberg, regista svedese di indiscutibile stoffa, autore fino a ieri di numerosi cortometraggi tra i quali, appunto,  un Lights Out del 2013 capace di conquistare a tal segno James Wan (Saw, i due Insidious, i due Conjuring oltre Fast & Furious 7) da indurlo a produrre il film di oggi.  Che propaga vero terrore. Con uno sviluppo e un epilogo per nulla scontati, fuori dagli steccati psicotici dell’inesistenza e delle figure solo immaginarie.

Un mostro incontrollabile

L’identikit di Diana? Una vecchia conoscenza di Sophie, all’epoca della sua permanenza in una clinica psichiatrica. Esperienza per nulla costruttiva per l’una e per l’altra, se è vero, com’è vero, che la prima ne uscì carbonizzata dopo un elettro-trattamento spinto al diapason; e la seconda ne fu dimessa senza aver risolto le sue ossessioni. Anzi, con ogni evidenza, aggravandole e radicalizzandole fino a riproporre concretamente come sua segreta “amica” quella povera ragazza - dalla natura, purtroppo, malvagia -martoriata e uccisa in ospedale. Incontrollabile, adesso, anche per chi, come Sophie l’ha generata: è così che accade da sempre, in letteratura e nel cinema, a tutti i fabbricanti di “mostri”. O quasi.

Metà vampiro metà spettro

Dell’elemento primordiale di genere, il buio, vive, anzi si nutre Diana: materializzandosi con l’oscurità e scomparendo nella luce in uno spaventevole gioco di presenza/assenza. Metà vampiro metà spettro. Che s’accovaccia nella tenebra per sferrare i suoi attacchi ferini, deforme, alta, rostrata, gli occhi luminosi. Nera. Urlante, stridula, disumana. Protagonista di un horror secco e sibilante, capace di far schioccare a ripetizione la frusta della paura. Finalmente anche sui volti degli attori, specie Teresa Palmer nella parte di Rebecca e Gabriel Bateman in quella del suo fratellino Martin, tanto credibili da far sospettare che quella furia l’abbiano vista per davvero. Maria Bello è Sophie, sempre sospesa tra slancio materno e trance perversa. Billy Burke (il Charlie Swan della saga Twilight) è suo marito Paul dal destino infausto.  L’altro attore di riferimento è il buio, così denso, glutinoso e profondo da diventare personaggio. Padre e madre di tutte le paure.

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Warner Bros. Entertainment Italia, Ufficio stampa Warner Bros. Entertainment Italia
Al piccolo Martin (Gabriel Bateman) basterà la luce di una candela a fendere il buio?

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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