Letizia Battaglia
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È morta Letizia Battaglia: "Donne, andiamo a cambiare il mondo!"

Si è spenta la grande fotografa 87enne che due anni fa ci raccontava queste cose del suo lavoro ma non solo

Con il suo carrè rosa punk, la gestualità vivace, le parole schiette, Letizia Battaglia è energia che brilla. Nonostante abbia fotografato tanta morte, nella sua Palermo delle stragi di mafia, inonda di vita. Impossibile non rimanere contagiati dalla sua vitalità indomita, sempre proiettata al fare e al futuro, anche ora che ha 84 anni. 

Prima fotoreporter donna di un quotidiano in Italia, quando tra gli anni '70 e gli anni '90 con la macchina fotografica al collo correva sui luoghi dei morti ammazzati per il giornale palermitano L'Ora, è stata anche la prima donna europea a ricevere, nel 1985, il Premio Eugene Smith, a New York, istituito per ricordare il fotografo di Life

Ora sta vivendo un momento d'oro. È stata tra i protagonisti del documentario La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, Premio speciale della giuria all'ultima Mostra del cinema di Venezia. 
Dal 5 dicembre al 19 gennaio 2020 Milano ospiterà a Palazzo Reale la mostra Letizia Battaglia. Storie di strada, una grande retrospettiva che attraverso 300 fotografie percorre la vita professionale della fotografa siciliana e intanto testimonia 40 anni di società italiana. Le sue foto sono impavide e sorprendenti. Non solo negli scatti della mattanza della mafia: corpi crivellati, sangue come petrolio in bianco e nero potenti, vedove urlanti. Ma anche in ritratti di poveri, volti di bambini e donne, momenti di rivolte di piazza, scene politiche... Perché Letizia Battaglia è molto di più della "fotografa della mafia", etichetta che molti le hanno affibbiato ma che lei non ama. Anzi, più volte avrebbe voluto bruciare quelle foto che raccontano tutta la crudezza della sua Palermo, amata e amara. 

Letizia Battaglia. Storie di strada
Letizia Battaglia
Lunedì di Pasquetta a Piano Battaglia, 1974 (dalla mostra "Letizia Battaglia. Storie di strada")

Infine, Letizia Battaglia è anche anima vigorosa di un nuovo film, un documentario che la racconta, Shooting the Mafia della regista britannica Kim Longinotto, che sarà distribuito in Italia nel 2020 da I Wonder Pictures (anteprima il 3 dicembre a Milano in Sala Biografilm). 
Letizia è raccontata nella sua vita professionale, nell'impegno sociale e politico (è stata anche assessore del Comune di Palermo), e anche nelle sue relazioni amorose, a volte turbolente. Il film è già stato presentato al Sundance Festival, applaudito a New York (qui la recensione del New York Times), alla Berlinale e sta girando il mondo (il 29 novembre l'uscita nel Regno Unito). 

Parlando del suo lavoro, Letizia Battaglia sempre afferma: "Prima di trovare la fotografia, non ero una persona". Letizia la fotografia l'ha trovata a quasi 40 anni, dopo essere uscita da un matrimonio che soffocava le sue aspirazioni.


Abbiamo incontrato Letizia Battaglia al Teatro Litta di Milano, dov'era per la decima edizione del WeWorld Festival, organizzato dalla onlus WeWorld e dedicato alle donne e ai loro diritti, e dove veniva presentato in anteprima Shooting the Mafia. Intervistarla è stato un momento di luce.


Una delle cose sorprendenti della sua carriera, è che ha iniziato a fare la fotografa a 39 anni. Quindi non c'è un'età per trovare la propria strada?
"Dipende anche da quello che hai dentro, da quello che vuoi, dalla forza che ti porti dietro, la disperazione o la gioia. Ma comunque a qualsiasi età puoi trovare la tua strada. Nei miei workshop voglio anche gente di 90 anni, come pure di 14, perché tutti possono incominciare. Oppure, a un certo punto possono cambiare strada. Ricordo che una volta ero disperata, ero giovane quando ero disperata... poi non la fui più. Un inglese mi disse: 'Letizia, non devi per forza andare avanti così: puoi andare a destra, a sinistra, tornare indietro'. È una cosa banalissima ma non me la sono più scordata. Uno può ricominciare. Non deve continuare nella propria ignavia e nel proprio silenzio, a fare cose che non gli piacciono. Quanta gente fa un lavoro che non gli piace e soffre, sta male, non riesce a metterci alcuna creatività. Invece abbiamo bisogno di tirare fuori la nostra creatività. Per esempio, a chi frequanta i miei workshop dico: 'Non si può più campare di fotografia perché oggi riviste e quotidiani pagano così poco i fotografi? Allora fate anche un altro lavoro. Due lavori'. Jane Evelyn Atwood faceva la postina e la fotografa. Non parlo per me, perché io sto benissimo, ma per i giovani fotografi: vengono pagati in maniera orribile, senza rispetto. I ragazzi non crescono se non vengono sostenuti". 

Oggi siamo bombordati da immagini, su Facebook, su Instagram, selfie, foto di ogni momento del giorno... 
"Sono immagini senza progetto, sono cretinaggini, come fare l'elenco della spesa: patate, fagioli... Non è un progetto, non è una conoscenza di quello che la fotografia ha raccontato e portato avanti. Il bravo fotografo ha un progetto, sa quello che fa e mette tutto se stesso in quello scatto, quello selezionato, che presenterà al mondo". 

Può ancora dire qualcosa di nuovo la fotografia?
"Certo, per questo dirigo il Centro Internazionale di Fotografia a Palermo, perché aspetto le foto degli altri, foto nuove. Io già ho fatto le mie foto, ora faccio foto di nudo, però è chiaro che il nuovo non può arrivare da me. La rivoluzione deve arrivare dalle sardine: io mi accodo con le sardine. Fotografie e sardine stanno benissimo". 

Ci racconti di questo nuovo progetto sul nudo.
"Spero tra due anni di fare un progetto su Palermo nuda, rappresentata da donne nude, non solo quelle belle, quelle bone, quelle fatte bene. Donna come simbolo di vita, di terra, di bellezza, non di cretinaggine, di sessualità, sexy. Quella è una cosa più privata, non mi piace nella fotografia. Le fotografie che alludono alla sensualità in maniera banale mi fanno schifo. La sensualità è una cosa profonda, legata alla psiche, al vissuto, a tante cose. Quindi niente sesso. Se viene fuori un erotismo, da una persona, è un'altra cosa, ma non dalla mia fotografia. La mia fotografia deve rispettare il privato, delle donne in particolare. Gli uomini non li fotografo, non mi piace fotografarli. Ho avuto solo fidanzati uomini, mai una donna, però non mi piace fotografare uomini. Perché con le donne ho più empatia, credo di più nelle donne. Gli uomini sono per un po' falsi e traditori, non chiari, rompono, e poi recentemente ci ammazzano pure. Perché io devo fotografare gli uomini? Graficamente non mi piacciono".  

Ha già visto Shooting the mafia al Sundance. Cosa ne pensa?
"Mi imbarazza molto. Non mi piace al 100%, anzi, ci sono delle cose che considero non riuscite, però è un film che serve. Serve alle ragazze, alle donne, a prescindere da me. Per questo film ho un po' sofferto, perché non l'avevo visto in precedenza, l'ho visto davanti a centinaia di americani, che erano tutti dietro di me. Infatti i realizzatori hanno dichiarato sui giornali stranieri che non me l'hanno fatto vedere apposta, perché ci sono delle cose troppo private".

Il 25 novembre è stata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Cosa pensa della condizione della donna in Italia?
"Abbiamo lottato, qualcosa si è ottenuto, ma siamo ancora all'anno zero. So che io non lo vedrò, ma sino a che non vedremo il mondo governato per il 50% da donne, insieme agli uomini, a pari cifre, non di più, non ci sarà pace in questa terra, in questo mare, in questi monti, in questi ghiacciai, in questo mondo inquinato. Gli uomini non sono molto attenti ai cittadini, sono attenti al loro potere. Le poche donne che ci sono, che governano con loro, governano come loro. Invece dobbiamo andare in massa, al 50%". 

Nel film La mafia non è più quella di una volta di Maresco, al cinismo di lui lei contrappone un realismo pieno di speranza. La mafia oggi è meno rumorosa ma non meno pericolosa. Sente che si può ancora fare qualcosa? 
"Maresco lo amo molto. Al cinismo di lui io contrappongo il mio buonismo scimunito. Io ci credo. Donne, andiamo! Se non andiamo, non cambiano le cose. Chi le può cambiare? Neanche quelli di sinistra, che sarebbero i miei riferimenti. Le donne devono intervenire, per dovere, non per diritto. Veramente, ci credo tantissimo. Noi non inquineremmo, non faremmo sciogliere i ghiacciai. Noi la Foresta dell'Amazzonia non la faremmo abbattere. In Italia ci sono 800 opere non finite: dopo aver speso milioni e miliardi sono state abbandonate. Hai capito cosa fanno i maschietti? Le donne questo non lo fanno. Noi facciamo la spesa, contiamo i soldi: 'mi rimangono tot, così mi compro le scarpe, il prossimo mese il profumo'. Siamo abituate a gestire con piccolezza le nostre piccole cose. E con piccolezza bisogna gestire anche le grandi cose. Io sono stata assessore, so cosa significa amministrare, non fare politica, amministrare. È bellissimo. Puoi fare tutto. Puoi fare miracoli, conquistare gente pigra: la conquisti con l'esempio".

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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