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Jumanji: Benvenuti nella Giungla al cinema – La recensione

Dopo 22 anni il sequel del film che vide Robin Williams protagonista. Con un videogame che tele-trasporta in una innocua avventura fantasy per famiglie

A distanza di 22 anni dall’archetipo, il possibile remake diventa sequel. E stacca il tagliando dell’avventura per ragazzi con qualche fatica e annacquamento ma anche con un discreto carico di svago e di spasso, magari facendo a meno di dinamiche forsennate e di pur necessarie accelerazioni comiche.

Jumanji: benvenuti nella Giungla (nelle sale dal 1° gennaio, durata 119’) non corre e scorre sulla follia del Robin Williams primigenio ma sulla stazza dell’ex-wrestler Dwayne Johnson, cambia passo e area di fruizione rispetto al film del 1995, si gode naturalmente l’evoluzione degli effetti speciali proponendosi, in definitiva, quale rocambolesca peripezia fantastica e atossica per famiglie.

La regia

Alla regia c’è Jake Kasdan, 44 anni di Detroit, autore fino ad oggi di opere non memorabili ma con un cognome importante derivato dal papà Lawrence di Brivido caldo, Silverado e Il grande freddo, belle suggestioni degli anni Ottanta al cinema. Nessun legame, tantomeno artistico, invece, col Joe Johnston che aveva diretto l’originale stabilendo sui ragazzini un’asse generazionale qua spostata nell’approccio su adolescenti grandicelli in odor di trip spaziotemporali.

A scatenare gli eventi c’è ancora quella dannata scatola magica con la scritta Jumanji, mezzo sepolta nella sabbia, acciuffata dal giovane Spencer (Alex Wolff) il quale con i suoi amici Fridge (Ser'Darius Blain), Bethany (Madison Iseman) e Martha (Morgan Turner) si dà da fare per attivare il gioco. Che, nel frattempo, ha subìto una metamorfosi: abbandonando la sua vecchia configurazione da tavolo per diventare videogame.

Cosa cambia rispetto al 1995

Tutto in cifra anni Novanta, quindi cassetta e console di allora che già fa vintage e ribalta, per così dire, le dinamiche dell’azione rispetto al vecchio film, trascinando di peso i suoi protagonisti  nel cuore della foresta tropicale.  Dando loro quel “benvenuti” del titolo; che in inglese, Welcome To the Jungle, rimanda secco alla saetta musicale dei Guns N' Roses purtroppo assente dal soundtrack e lanciata a suo tempo nel teaser trailer.

Conseguenza: tra mille tamburi rullanti comme d’habitude, i quattro ragazzi vengono risucchiati dal gioco e scaraventati nella giungla. Dove ritroviamo i loro avatar in tutt’altre figure, sicché Dwayne Johnson diventa Dr. Smolder Bravestone  e prende le sembianze di Spencer, Kevin Hart quelle di Fridge col nuovo nome Franklin "Moose" Finbar, il professor Shelly Oberon  è interpretato da Jack Black e sostituisce Bethany, Martha lascia il posto alla Ruby Roundhouse di Karen Gillan.

Tutta gente adulta, corpi “nuovi” assai diversi dai precedenti; ciascun personaggio, anzi, quasi agli antipodi per tipo fisico rispetto ai trascorsi, con Bethany a fare addirittura una salto di sesso che la trasforma in uomo.

Il protagonista: il giovo

Insomma lasciamo quattro liceali e ritroviamo un gigante nero ipermuscolare, uno zoologo esperto d’armi e bombe, un cartografo con piena reminiscenza dei suoi trascorsi di donna,  una donna rimasta tale con il piglio di una Lara Croft. Ci sarebbe di che farsi prendere dal panico. Ma superati i primi sgomenti, il gioco ci mette poco a impadronirsi del quartetto, imponendo una missione zeppa di rischi, ostacoli umani e animali, trabocchetti e tagliole d’ogni risma con l’obbligo, logicamente, di superare le diverse “stazioni” del percorso liberando quei luoghi e i loro abitanti da un’incombente annosa maledizione.

Non riuscendo nell’intrapresa, i quattro sarebbero condannati a restar intrappolati colà e la cosa, si può immaginare, li spinge a superarsi nelle loro (super)umane possibilità che, peraltro, neppure sanno di avere. A dargli una mano che potrebbe essere decisiva compare un certo Jefferson “Seaplane” McDonough (Nick Jonas), bloccato nel gioco, dunque nella giungla, da più di vent’anni, praticamente dall’altro film. Il suo incontro, al di là dell’incidenza effettiva sugli esiti della missione, consente almeno di produrre un microscopico ancorché doveroso omaggio a Robin Williams: col nome del “suo” Alan Parrish inciso su legno nel sito dove anche lui, nell’altra avventura, aveva soggiornato.

Gli effetti speciali

Che dire, l’azione gira prevalentemente attorno a Dwayne Johnson, condottiero muscolare,  dubbioso, fifone ma non per questo meno combattivo e perciò abbastanza comico. Di quella amenità e quel brio che, forse, restano un po’ alla larga dal film e dalla sua ottica-college e family nonostante l’impervio, ferino e intimidatorio habitat che incombe sulla scena, riadattata, come il primo Jumanji, sul racconto illustrato per bambini di Chris Van Allsburg, ricordando che la parola chiave del titolo vuol dire, in idioma Zulu, “molti effetti”. Anche speciali, in questo caso e di non trascurabile qualità.

Per saperne di più


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Warner Bros. Pictures Italia, Sony Pictures, Ufficio stampa Cristiana Caimmi, Ufficio Stampa Warner Bros. Pictures Italia
Uno dei momenti di maggior pericolo per il quartetto sfida-tutto: da sinistra Franklin "Moose" Finbar (Kevin Hart), Ruby Roundhouse (Karen Gillan), Shelly Oberon (Jack Black) e Dr. Smolder Bravestone (Dwayne Johnson)

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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