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Così parlò De Crescenzo: viaggio al cinema nella filosofia della vita - La recensione

Un bel documentario di Antonio Napoli e Serena Corvaglia sull’uomo capace di fare cultura sorridendo e per questo snobbato da un certo mondo intellettuale. Ma ha ragione lui

Emana tepore affettivo fin dalle prime immagini girate nella sua casa romana zeppa di memoria. Ed è raro che un documentario dedicato ad un personaggio dell’arte o di qualsiasi altre segmento della società riesca a coinvolgere con tanto peso di sentimenti. Accade con Così parlò De Crescenzo di Antonio Napoli e Serena Corvaglia, regìa di Antonio Napoli (in sala dal 26 ottobre, durata 76’), percorso letterario, filosofico, artistico e creativo all’interno di un mondo fatto d’ironia, semplicità e colpi di genio.

Luciano De Crescenzo da scoprire e ritrovare. Nelle immagini accompagnate dalle belle musiche di Paolo Vivaldi, nelle parole di Renzo Arbore, Domenico De Masi, Marisa LauritoRenato Scarpa, Lina Wertmüller, Paolo Caruso, Benedetto Casillo, degli amici Federico Nucci e Nino Riccio, di Isabella Rossellini a lungo amata; in uno splendido duetto d’archivio con Bud Spencer e nelle scene del suo cinema, tra le speculazioni filosofiche e temporali di 32 dicembre e le trovate illuminanti di Così parlò Bellavista con le sequenze celebri della “lavatrice” e soprattutto del “camorrista” che nella sua ironia graffiante vale più di qualsiasi invettiva retorica.

I tanti volti di un innamorato della poesia

Oggi De Crescenzo ha 89 anni e l’aria del nobile signore che vive e lèvita sulle ali d’una saggezza antica. Guarda con nostalgia incoercibile alla Napoli d’una volta, galleggia sulla semplicità della sua scrittura, resta, come dice Arbore, un innamorato della poesia. Via via, con i racconti degli altri,  ecco l’uomo che intercetta i sentimenti e riesce a trasmetterli comicamente, il regista che possiede come Totò lo charme del cinema artigianale, lo scrittore capace di rendere facile ciò che è complesso, l’intellettuale libero ignorato dagli altri intellettuali irreggimentati e paludati, il fotografo in grado di regalare scatti meravigliosi sulla sua città riprendendone di nascoso – con una pompetta applicata alla fotocamera – vita e personaggi.

Cittadino onorario di Atene, faro della sua conoscenza

E ancora, l’ingegnere IBM che non ha mai voluto imparare l’inglese per legittima difesa (“era l’unico modo per non essere fatti prigionieri”), l’osservatore d’esistenze per il quale “a Napoli, quando una persona è felice, invece di pagare un caffè ne paga due: uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. Così è come offrire una caffè al mondo… (la citazione è da Il caffè sospeso)”, lo studioso fiero d’aver ricevuto la cittadinanza onoraria di Atene, ovvero del faro che ne guida, si può dire da sempre, il viaggio culturale.

Omaggio elevato e signorile ad una figura non replicabile

Che bell’omaggio. Doveroso oltre che emotivo, coinvolgente, sorridente, leggero, perfino didattico. A lui e al quel decrescenzismo che è speciale filosofia della vita. E mentre guardavo il documentario così dolcemente elevato e signorile, cioè in piena sintonia col suo oggetto/soggetto, mi chiedevo se ci siano ancora di questi personaggi in prospettiva di avvicendamento generazionale. E tristemente, un po’ sconsolatamente, mi sono risposto “no”, lui non è replicabile. Oggi, al massimo, ti puoi aspettare un blogger di successo o qualche youtuber straparlante e arringante in quella spocchiosetta e malintesa democrazia del reticolato social. Dove la libertà è spesso un fantasma. Alla Buñuel.




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Bunker Hill distribuzione, Ufficio stampa Reggi & Spizzichino
Luciano De Crescenzo con Lina Wertmüller in una foto di qualche anno fa

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