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The Boy, attenti al maleficio del “bambolo” – La recensione

Horror che segue correttamente le leggi di genere: brividi e palpiti. E una baby sitter nella trappola di una strana famiglia con stranissimo bambino

Che ci fa una giovine graziosa baby sitter americana in un perduto angolo d’Inghilterra? Perché così leggiadra e charmante ha lasciato il Montana per accudire il figlioletto di due coniugi anziani malinconici, enigmatici e diffidenti? E, soprattutto, perché il bambino, figlio naturale di genitori che potrebbero essere suoi nonni ha soltanto otto anni?

A queste domande, piuttosto lecite, risponde The Boy di William Brent Bell, regista del Kentucky specializzato in horror (Stay Alive, L’altra faccia del diavolo, Le metamorfosi del male), che qua continua a nutrire la sua inclinazione con una storia tutt’altro che rassicurante e solare. Anzi. Già a vedere il taxi che reca la baby sitter Greta Evans (Lauren Cohan) a destinazione procedendo nella boscaglia umida, fosca, opaca di nebbie radenti risuonano i primi allarmi. Poi l’arrivo. La casa, chiamiamola così, è una specie di castello aguzzo e plumbeo in mezzo al nulla, interni lignei e pesanti, finestre tappate, atmosfera ovviamente densa d’incognite.

Un “bambino” tutto da scoprire

Insomma un habitat darkissimo. Che i due anziani coniugi, Mister e Miss Heelshire (Jim Norton e Diana Hardcastle) certo non si sforzano di mostrare accogliente. E il boy del titolo? Eccolo. Si alza il velo. Sorpresa. Non è un bambino in carne e ossa ma un pupazzo di porcellana. Disturbante come tutti i pupazzi di porcellana stile vintage, occhi vitrei ma intensi, di nome Brahms. Il figlio. Meglio, il simulacro del ragazzino morto vent’anni prima in un incendio, cui i genitori si ostinano ad attribuire attività vitali in una sorta di folle, delirante ipotesi di reincarnazione e sopravvivenza.

Ma non è come sembra

Greta pensa: non è normale. Però si adegua, anche perché ha lasciato il Montana inseguita da ben altri incubi. Così, obbediente,  esegue gli ordini incisi sul decalogo imposto dai signori Heelshire, una serie di regole da seguire alla lettera per evitare che Brahms soffra, si dolga o, peggio, s’impermalisca o s’impenni. Però, partiti i padroni di casa per destinazione ignota e rimasta sola col bambino, la baby sitter realizza di sentirsi un’idiota a trattare un pupazzo come un umano e decide di fare a modo suo. Cioè sbattendolo di qua e di là, senza cure di sorta. E, naturalmente, per lei incominciano i guai. Neppure troppo mitigati dalla compagnia, che presto diviene flirtante e audace, offertale in modo inevitabile dal bel giovanotto Malcolm (Rupert Evans), addetto alle consegne e agli approvvigionamenti della casa.

Sequenza di eventi tenebrosi

Altro non si deve, come da regola,  raccontare. Tanto meno riguardo l’esito della vicenda. Se non che gli sviluppi della disavventura coinvolgono la baby sitter in una sequenza inarrestabile di eventi tenebrosi, segnali loschi, stravaganti capricci del pupazzo, schianti notturni nella casa cigolante e nemica, fulmini e saette nella più classica atmosfera da paura. Ne nasce un horror tumefatto e sfuggente che, inutile dirlo, vive sulla scia della masnada di bambole & pupazzi che hanno fatto la fortuna di un intero segmento del cinema di genere, fin dalla Living Doll della celebre serie tv Ai confini della realtà e proseguendo con i vari Saw, Living Doll, May, Dolls, Annabelle, la mitica Chucky di Bambola assassina, Ghost Theater, il fantastico e poco conosciuto Maria Leonora Teresa, Amityville Dollhouse e via così.

Rispettate le leggi di genere

Così, che l’effetto sia almeno inquietante, è cosa scontata. Qualche brivido risale com’è giusto lungo la schiena e ci si possono concedere diversi sobbalzi e palpiti. Perché il film è girato in maniera molto puntuale, ciascun elemento al suo posto, senza stravaganze ed eccessi, dunque “come da manuale”. Questo significa che vi accade (quasi) tutto quello che ci si aspetta; ma che, nonostante questa sorta di prevedibilità, il racconto conserva una forte, arcana dose di suggestione e una tenace carica di tensione.

Recitazione senza sbavature

In questo insieme fuligginoso, fantasmico e maligno si fa notare con diversi meriti anche la recitazione senza sbavature. Lauren Cohan è un po’ la star, dopo che la televisione le ha dato fama con serie popolari come Supernatural, The Vampire Diaries e The Walking Dead. Qua è la baby sitter, figura addirittura simbolica nelle logiche dello smarrimento umano davanti all’incognita di una nuova meta o davanti a figure di reazioni imprevedibili. Piace anche la presenza polverosa, estenuata e spiacevole di Jim Norton e Diana Hardcastle quali genitori di Brahms, nella norma la recitazione di Rupert Evans nei panni dell’aitante (e aiutante) Malcolm.

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Eagle Pictures, Ufficio stampa Pierluigi Manzo e Alessio Piccirillo
La baby sitter Greta Evans (Lauren Cohan) tiene in braccio Brahms, "costretta" a trattarlo (bene) come se fosse un bambino in carne ed ossa

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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