Blake Edwards, il genio che odiava Hollywood
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Blake Edwards, il genio che odiava Hollywood

A 90 anni dalla nascita, Mgm (Sky) rende omaggio al regista di Colazione da Tiffany, La pantera rosa e Hollywood Party. Detestava i produttori, adorava il cinema: sberleffi e passioni del re della commedia

È molto più moderno di tanti astri nascenti che intasano di sciocchezze tridimensionali gli studios del XXI secolo. Ha girato mezzo secolo fa film che ancora oggi, come la Settimana Enigmistica, vantano innumerevoli (e vani) tentativi di imitazione. Blake Edwards avrebbe compiuto 90 anni il 26 luglio, se una polmonite non se lo avesse portato via nel 2010. Da dove si comincia a raccontare la storia di un genio? Magari dall'ultimo capitolo.

Los Angeles, 29 febbraio 2004: è la notte degli Oscar. Con scandaloso ritardo l'Academy Award decide di assegnare a Edwards un Oscar alla carriera. Il minimo, per un regista spesso snobbato nonostante abbia girato film come Colazione da Tiffany, La pantera rosa, Hollywood Party e Victor Victoria. A consegnare il premio è Jim Carrey, suo grande fan, che inizia più impacciato del solito il discorsetto di presentazione. Edwards irrompe sul palcoscenico su una carrozzella a motore e, dopo avergli strappato la statuetta dalle mani, si schianta a tutta velocità contro un muro di cartapesta.

Poi, impolverato come uno stuntman, torna gongolante in scena per ricevere l'ovazione dei colleghi. Mai visto niente del genere, in una cerimonia che rifugge per definizione dai fuori programma. Mister Edwards, però, se ne frega: a 82 anni, non ha perso la voglia di sfottere Hollywood, i suoi rituali, i party ingessati a base di silicone e coltellate nella schiena. Un mondo falso e arrogante, contro cui ha lottato per tutta la vita.

Se fosse ancora in circolazione, probabilmente avrebbe festeggiato lo storico compleanno con qualche altra trovata delle sue. Uno di quei colpi di genio, solo apparentemente bonari, che hanno scandito il suo lavoro e di cui si sente moltissimo la mancanza. I fan italiani, se non altro, si possono consolare con l'omaggio del canale Mgm di Sky, che dedica al maestro un miniciclo di tre film. A partire dal 12 luglio, alle 21, ogni giovedì andranno in onda La pantera rosa, Uno sparo nel buio e La pantera rosa colpisce ancora. Troppo poco? Okay, ma in ogni caso la vita è migliore se alla tv c'è un film di Blake Edwards.

Aveva un bel caratterino, questo è sicuro: non tollerava i produttori, soprattutto quelli che pretendevano di insegnargli il suo lavoro. Però adorava girare, far ridere il pubblico con un umorismo che a qualche critico pareva superficiale, ma in realtà era raffinatissimo, scandito com'era da tempi comici perfetti. Cresciuto guardando e riguardando le comiche di Stanlio e Ollio, le malinconiche peripezie di Buster Keaton, i capolavori muti di Charlie Chaplin, dai suoi modelli aveva imparato la magia  della slapstick comedy, l'irresistibile potere esilarante di una torta in faccia, la caduta su una buccia di banana, un tuffo involontario in piscina.

Di suo aveva aggiunto la cattiveria, l'anticonformismo e la capacità di circondarsi di fuoriclasse che lo hanno aiutato a diventare un numero uno. La prima in ordine di tempo è stata Audrey Hepburn con Colazione da Tiffany, ma ancor più importante per Edwards è stato il sodalizio con l'amico-nemico Peter Sellers, con cui tra una lite e l'altra girò il suo più grande successo, La pantera rosa, e Hollywood Party, che incassò meno ma resta uno dei suoi capolavori.

Per non parlare di Julie Andrews, sua seconda moglie e protagonista di Victor Victoria. Ancora non si conoscevano quando alla fine degli anni '60, in un'intervista, Blake dice di lei: "Mi sembra una donna dolcissima: secondo me in mezzo alle gambe ha delle violette". Per una volta, l'eleganza va a farsi benedire; del resto Edwards, dopo la fine del suo matrimonio, era sull'orlo dell'esaurimento nervoso. Julie però legge e si diverte moltissimo: prende carta e penna e gli manda un biglietto, accompagnato da un mazzo di fiori. Violette, naturalmente. Sono stati sposati per 41 anni.

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Alberto Rivaroli