Belardi, il produttore self made man dal tocco magico
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Belardi, il produttore self made man dal tocco magico

Ha creduto in registi diventati di culto come Paolo Genovese e vanta 17 nomination ai David di Donatello per La pazza gioia

Gli incassi da capogiro e il successo planetario di Perfetti sconosciuti, il film di Paolo Genovese, non era mai arrivato a sognarli. E mai avrebbe immaginato che  un giorno sarebbe diventato il produttore di Paolo Virzì, incamerando 17 nomination ai David di Donatello per La pazza gioia. Però che in un modo o nell’altro avrebbe lavorato nel cinema, Marco Belardi, 43 anni, amministratore delegato di Lotus Production, lo sapeva ancora prima di diplomarsi montatore all’Istituto per la cinematografia e la televisione. Ne era convinto, racconta a Panorama nel suo ufficio romano al quartiere Prati,  da quando aveva otto anni  e con il papà elettricista e la mamma impiegata al ministero delle Finanze andava a trovare la nonna in zona Cinecittà:

"Chiedevo sempre di entrare negli studios. Mia madre, sfinita, alla fine si arrese". Lui riuscì a lasciare una sua foto al capocomparse, mossa che gli valse uno spot di crackers, "addirittura al fianco di Moana Pozzi»"e più in là, il ruolo di  figlio di Mario Brega in Montecarlo Gran Casinò di Carlo Vanzina. La carriera attoriale si concluse lì. Ma prima di diventare il talent scout  del cinema italiano che ha scoperto anche Maccio Capatonda e ora con Medusa produce il suo secondo film, Omicidio all’italiana (esce il 2 marzo), Belardi ha navigato a vista tra pubblicità e cinema. Adattandosi perfino "a raccattare gatti".

Che c’entrano i gatti col cinema?
A 18 anni, quando ero flashista ai matrimoni e arrotondavo in un laboratorio di sviluppo fotografico, riuscii finalmente a lavorare anche in un  set di Cinecittà, nel reparto fotografia. Però dovevo portare i caffè e pure raccattare il gatto che la protagonista lanciava in una scena. Ero felice, la prima volta che entrai nello studio piansi per la commozione. Ma il tesoretto con cui ho poi dato il via alla mia attività lo devo ai matrimoni e alla pubblicità.  

Spieghi lo strano binomio.
Il proprietario del laboratorio di fotografia per premiarmi mi regalò una telecamera con cui iniziai a fare riprese ai matrimoni: 500 mila lire a botta, un bel gruzzolo alla fine. Sui set mi prendevano in giro, ma poi mi proposero di girare un backstage pubblicitario diretto dai fratelli Taviani. Da lì mi sono fatto conoscere negli ambienti pubblicitari. E poi, con una società mia, ho cominciato a produrre spot.

Il salto nel cinema?
Nel ‘98 con un socio ho fondato la Sunflower, specializzata in produzione pubblicitaria e televisiva. Al cinema arrivai perché un pubblicitario, Ambrogio Lo Giudice venne da me con l’idea di un film. Produssi Prima dammi un bacio con Stefania Rocca con il finanziamento ministeriale per le opere prime. Non andò bene. E non fu neanche l’unica volta.

Cioè?
Ho avuto momenti difficili, assegni postdatati e banche che non mi concedevano prestiti. Una volta, sentendomi triste, l’attore Enzo De Caro si fece raccontare i miei guai e quindi mi fece trovare un assegno da dieci milioni di lire in ufficio: "Tanto me li ridarai". E così è stato.

Mai pensato di lasciar perdere?
Dopo il primo flop mi sono rituffato nella pubblicità, pensando però sempre al cinema e così è nato E a un certo punto c’è stato l’incontro con Paolo Genovese e Luca Miniero, allora registi di spot che venivano a montare da me.  Mi proposero Viaggio in Italia, ma non avevo abbastanza soldi. Andammo da Giovanni Floris, era amico di Genovese e realizzammo venti puntate da tre minuti per  Ballarò. Poi nel 2003 ho fondato la Lotus production che da due anni è entrata a far parte di Leone film group per le produzioni italiane del gruppo.

Lei ha creato Genovese ma Genovese ha un po’ creato lei...
Il nostro successo è nato con Immaturi, che Paolo aveva già proposto senza fortuna ad altri. Ne parlai a Giampaolo Letta, ad di Medusa, con cui ero appena miracolosamente riuscito a coprodurre Amore 14 di Federico Moccia. A lui avevo fatto credere di essere in buoni rapporti con Medusa e viceversa, mi sono sempre saputo vendere bene. Letta accettò, pensavamo di incassare due milioni di euro, ne arrivarono 16.  Per testare il film prima del montaggio definitivo, andai a proporlo d’estate nei campeggi. Agli spettatori facevamo compilare una scheda di gradimento.

Ora coprodurrà il nuovo film di Genovese, oltre a quelli di Virzì, Tornatore e per la prima volta anche Gabriele Muccino. Con quali aspettative, dopo il trionfo di Perfetti sconosciuti e de La pazza gioia?
So bene che il 2016 resterà il mio anno d’oro, ma perché porsi dei limiti?  E pensare che quando Genovese mi propose quella storia tutta ambientata in una casa, come in Una famiglia perfetta, inorridii: "No, l’abbiamo già fatta". Per fortuna  cambiai idea.

Ma come li sceglie i film da produrre?
Mi devono emozionare le storie. E non devono essere per forza commedie. Va bene anche un horror, a patto che sia figo.              


    
 

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Antonella Piperno