Anna Karenina, il film: pregi e difetti
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Anna Karenina, il film: pregi e difetti

È sempre difficile adattare un romanzo immenso come quello di Lev Tolstoj e, anche se Joe Wright non fa proprio fiasco, non convince. Ecco perché

Finalmente arriva in sala (dal 21 febbraio) Anna Karenina, trasposizione cinematografica del colosso della letteratura ottocentesca firmato Lev Tolstoj. Si cimenta con questa sfida ardua uno che ama rimaneggiare classici e romanzi che riportano a epoche passate. Il regista britannico Joe Wright infatti nel suo curriculum ha titoli come Orgoglio e pregiudizio (tratto dal libro di Jane Austen) ed Espiazione (dall'opera di Ian McEwan), tutti film che guarda caso han per protagonista sul set  la sua beniamina Keira Knightley . E anche ora, per Anna Karenina, ritroviamo Keira, nella sua bellezza esile.

Premesso che la sfida Wright questa volta non l'ha vinta, c'è da dargli atto però che il suo Anna Karenina non è un fiasco totale. No no, di cose buone, anzi, ne ha diverse, più tecniche che sostanziali. Ecco, punto per punto, cosa funziona e cosa non funziona di questo kolossal in costume.

Cosa non va:

1) Keira Knightley: non può ridarci il carisma di Anna. Ok, sì, io sono un po' prevenuta verso l'attrice inglese, ma la sensazione che ho è che riesca a essere più spontanea e dia il meglio di sé quando ha a che fare con ruoli un po' da "maschiaccio" (vedi Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo o Domino) piuttosto che quando debba fare la damina, dove risulta un po' troppo... "smorfiosetta". E innaturale. Nello specifico, poi, non riesco ad accettare che sia lei a dar corpo alla "mia" Anna, personaggio così fascinoso, che Tolstoj descrive con "corpo opulento", "folte sopracciglia", "occhi luminosi, grigi", così elegante e aggraziata che "pareva che l’esuberanza della sua vivacità colmasse il suo essere, sino a esprimersi, indipendentemente dalla volontà, ora nel sorriso ora nello sguardo sfavillante". Devo riconoscere che Keira fa anche meglio di quanto mi potessi aspettare, ma quel fascino richiesto non ce l'ha. Inoltre, nella sua mimica facciale un po' esasperata, sembra che voglia mostrare emozioni più che sentirle realmente, come recitazione chiede.

2) La psicologia di Levin, così trascurata. Nonostante il titolo del libro di Tolstoj si concentri sulla bella e tormentata Anna, coprotagonista è Konstantin Levin, ovvero Costia per chi ha amato quel personaggio dalle forti contraddizioni, dal cuore semplice ma profondo. Domhnall Gleeson, l'attore irlandese che lo interpreta, gli rende abbastanza giustizia. Ma ciò che non gli rende giustizia, invece, è la sceneggiatura, che nello sfrondare pagine di romanzo, come è normale e giusto che sia, si smarrisce per strada tanto della bella anima di Levin, dei suoi turbamenti, delle sue somme riflessioni. E così, quando sul finale, sembra aver capito qualcosa da voler subito confidare a sua moglie Kitty, si perde la grandezza di quella confidenza poi non fatta. Levin era passato intanto tra dubbi esistenziali e labirintici pensieri sulla Fede e sul senso del vivere. Nel film di Wright tutto questo non si sfiora.

3) Il malessere di Anna, toccato appena. Se la grandezza di Tolstoj è rendere la storia e il dolore di Anna come parte di un universo in cui altre vite si muovono, più o meno incuranti, il grande romanziere russo si era però ben soffermato sul descrivere il graduale malessere che scavava l'anima della donna. La sceneggiatura di Tom Stoppard invece passa e va. Un attimo prima è lì, imponente, il grande amore con il conte Vronsky, e poco dopo ecco lei, disperata e instabile. Poche le sfumature in mezzo.

4) Il fratello morente di Costia Levin, scene mal svolte. Nello script si è scelto di non far comparire il fratello scrittore di Levin. E ci può stare: nell'adattare un libro per il grande schermo bisogna avere il coraggio di tagliare e tagliare. Trova invece spazio il fratello sbandato Nikolaj, figura di sicuro più densa di significato per Costia Levin. Peccato, però, che tutto questo significato non si colga nelle due scene estrapolate dal romanzo e filmate. Peccato.

Cosa va:

1) Scenografia spettacolare. Mamma mia, complimenti a Wright e soprattutto alle scenografe Sarah Greenwood e Katie Spencer (non per niente candidate agli Oscar)! La scelta di ambientare gran parte delle scene in un teatro di posa è di gran fascino ed esalta la magniloquente teatralità dell'opera di Tolstoj. Le sequenze si aprono come set in movimento in un teatro. E per non rischiare la monotonia, ecco che alle quinte teatrali si alternano grandi spazi, immensi come può essere il paesaggio russo, vasto e innevato.

2) Aaron Johnson, il conte Vronski. Era più facile non "sbagliare" Vronski rispetto ad Anna, personaggio più frastagliato. E infatti Wright non sbaglia nel trovare in Johnson il suo conte belloccio e luminoso. L'attore inglese è di una bellezza generosa e sa essere magnetico come gli si chiede. Poco approfondimento psicologico, ma non era così necessario.

3) Alicia Vikander, radiosa Kitty. Altro interprete che rende tutta la sua grazia al proprio personaggio è la giovane Alicia Vikander: alla sua Kitty, la giovane che si vede “rubare” Vronsky dall’entrata in scena della sfolgorante Anna, l'attrice svedese dà una radiosità ingenua e un candore luminoso. Una bella scoperta dal volto pulito e coinvolgente.

4) Costumi. Anche i costumi sono candidati agli Oscar, a ragione. Quelli indossati da Keira sono raffinati ed eleganti, maestosi e intriganti. E ben sottolineano la cura di Anna nel vestirsi e nello stare attenta a ogni dettaglio di seduzione, come anche il contrasto di questo sfarzo rispetto all'umiltà d'abbigliamento della cognata Dolly (Kelly Macdonald).

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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