Gli U2 spogliano le loro canzoni in Songs Of Surrender: ne valeva la pena?
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Gli U2 spogliano le loro canzoni in Songs Of Surrender: ne valeva la pena?

Un disco tra luci e ombre. I grandi classici in versione unplugged non convincono. Al contrario, le tracce meno note regalano momenti di grande bellezza

Non ci sono dubbi: gli U2 sono stati e sono una delle più grandi rock band di tutti i tempi. Inutile elencare i loro meriti, i milioni di album venduti e le migliaia di sold out in concerto. Non c' è album degli U2, nemmeno il meno ispirato, che non contenga un paio di pezzi memorabili. Persino nella colonna sonora di Million Dollar Hotel, Bono e soci sono riusciti a stupire e a emozionare con The ground beneath her feet, uno dei brani più belli della loro storia.

Detto questo, entriamo nel merito di Songs Of Surrender. Quaranta pezzi della gloriosa storia della band riletti in chiave soft: tanto pianoforte, qualche accenno di chitarra, synth, archi e un pizzico di batteria. E poi, la voce di Bono, coerente con il passare del tempo, una voce da crooner che reinterpreta se stesso con un approccio ed un'intenzione indubbiamente diversi rispetto alle versioni originali contenute negli album.

Un'operazione ad alto rischio perché rimettere mani ai capolavori porta con sè l'inevitabile rischio di deturparli. Così il disco alterna luci e ombre, una cavalcata tra momenti alti e bassi poco conciliabili tra loro. Quindi, volendo stendere un velo di silenzio su One, Pride e With or Without You, meglio concentrarsi sulle vette piuttosto che sugli abissi.

Funziona molto bene il remake di 11 O'Clock Tik Tok. Non male Where The Streets Have No Name anche se il confronto con l'energia e l'adrenalina dell'originale è improponibile. Estremamente piacevole la rilettura di Every Breaking Wave, così come quella del capolavoro di Achtung Baby, Who's gonna ride your wild horses.

Convince Dirty Day in versione minimal, una delle highlight del disco. Notevole The Miracle (of Joey Ramone), anche se il riff di chitarra dell'originale è difficile da rimpiazzare. Sunday bloody sunday "stripped" è difficile da digerire, mentre Miracle Drug è un un gioiello. Splendida Song for someone, a dimostrazione che a volte i pezzi ridotti all'osso rivelano una grande bellezza nascosta. Tra le gemme anche Stay, profonda e struggente come mai.

Insomma, un album complesso da valutare nel suo insieme, che penalizza gran parte dei pezzi più famosi ed invece esalta le tracce meno note e più oscure che rilette in questa chiave regalano nuove intense emozioni. Non è poco...

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Gianni Poglio