Piotta: «In Suburra ogni personaggio è diventato una canzone»
Alfredo Villa
Musica

Piotta: «In Suburra ogni personaggio è diventato una canzone»

Il nuovo album del rapper romano è stato scritto per l' ultima stagione della fortunata serie Netflix. Da Aureliano a Spadino, da Cinaglia a Samurai, da Angelica e Nadia a Manfredi, ogni brano è dedicato a uno dei protagonisti

Suburra – Final Season è il titolo del nuovo album di Piotta, uscito in concomitanza con l'arrivo della terza e ultima stagione di Suburra - la serie. Dieci nuove tracce inedite, comprensive di due strumentali e un remix, che raccontano con musica e parole le storie dei personaggi e le vicissitudini che attraversano tutta la narrazione. Un percorso che vede coniugare raffinate arie cinematografiche con il mondo artistico di Piotta, che per l'occasione ha messo nuovamente a nudo il suo amore per Roma e la sua capacità di raccontare i chiaroscuri umani, sociali e criminali che attraversano la storia della Capitale. Testi e musiche scritte e prodotte appositamente per la serie originale Netflix, dove citazioni importanti, sfumature dialettali, pianoforti, chitarre e orchestrazioni arrangiate dal Maestro Francesco Santalucia si mescolano alle atmosfere crude che coinvolgono i protagonisti. Ogni brano è dedicato a uno dei personaggi principali, da Aureliano a Spadino, da Cinaglia a Samurai, da Angelica e Nadia a Manfredi. Nel 2017 Piotta è entrato in contatto con il mondo di Suburra - la serie, prestando il suo brano 7 vizi capitale per la colonna sonora della prima stagione. La collaborazione prosegue con la seconda stagione, quando alla label di Piotta La Grande Onda è affidata la colonna sonora rap. Per la terza e ultima stagione il musicista romano si è messo completamente in gioco, scrivendo appositamente i brani originali per tutte le puntate e pubblicando un album ad essa dedicata.

Suburra Final Season è un album con una grande varietà di stili: electro, latin, rap, tappeti di archi, arpeggi di pianoforte e chitarre. Come sei riuscito ad amalgamare tutti questi stili in modo da avere un sound compatto?
«La mia idea, album dopo album, è stata quella di aggiungere uno o più tasselli alla mia evoluzione, sia nella capacità di scrittura dei testi che in quella musicale e canora. Ho cercato di creare uno stile personale che non fosse inquadrabile in un solo genere musicale, salvo poi, per motivi storici, essere inquadrato nella famiglia del rap italiano. A parte la componente rap, sia old school in Cuore nero e anche più moderna ed elettronica nelle strofe di Suburra, qui troviamo anche una componente più urban nelle ritmiche di Fiore dell'Infame, di world music ne La Giostra, ma anche la componente melodica italiana nel ritornello di Cuore Nero e quella romana e popolare, presente in Fiore nell'infame, che ha una ritmica moderna e un cantato quasi da stornello, con i vibrati molto emotivi. Sono 10 pezzi in cui sono mescolate tutte le mie anime, variegate, ma stilisticamente omogenee"

Come si è svolto il processo creativo? Hai visto in anteprima tutte le puntate di Suburra e poi hai scritto i brani o sono nati un po' per volta?

«C'era già da prima un rapporto con Netflix grazie alla canzone Sette vizi capitali. Il lavoro è iniziato a fine febbraio, mi hanno permesso di leggere la sceneggiatura scritta e, a mano a mano che avevano il premontato delle scene, mi mandavano i video via mail. Guardavo le immagini e mandavo un'idea di testo scritto su un personaggio, ad esempio Samurai, il personaggio della prima puntata, a Francesco Santalucia, il pianista con il quale ho coprodotto tutto l'album. Lui l'ha evoluta a livello musicale e me l'ha rimandata, io, a quel punto, ho continuato a scrivere il testo: c'era un vero e proprio ping pong a distanza tra di noi. L'iter per le colonne sonore di Netflix è molto lungo: il primo provino viene mandato in sala montaggio, dove viene rimontato, poi inviato alla produzione italiana, che lo rimanda alla sede olandese e a quella americana. Se tutto va bene, ritorna indietro e inizia la fase di produzione definitiva delle voci e degli strumenti, poi si rimanda il tutto nelle varie sedi di Netflix e, se confermato, si va in sala mix, dove registriamo sia in stereo che in 5.1: è un lavoro creativamente stimolante, ma anche complesso, per l'impegno produttivo e di equilibri tra i vari ruoli".

Che sensazione ti dà sapere che la serie è distribuita in 190 paesi e che le tue canzoni saranno ascoltate in tutto il mondo?

«Ero stato abituato bene con 7 vizi capitale e questo disco conferma quelle sensazioni perché mi stanno arrivando commenti positivi da ogni parte. Mentre 7 vizi capitale è stato composto un anno e mezzo prima della serie, qui c'era un pizzico di ansia, perché sapevo fin dall'inizio che ogni singola nota o parola poteva essere ascoltata in 190 paesi grazie alla serie e avvertivo una grossa responsabilità, ma anche una gran voglia di fare bene, uno stimolo e una sfida con me stesso. Ho pensato: la sigla di Suburra già l'ho fatta, cosa posso fare per provare a lasciare qualcosa in più? Nessuno ha mai fatto una sigla per ogni personaggio, come se fossero singoli spin off su ciascuno. Non conosco tutte le serie del mondo, ma forse siamo stati i primi a farlo. Noi italiani abbiamo questo genio creativo: a volte abbiamo mezzi inferiori, ma riusciamo a compensare con l'intuito e la sensibilità. Sono riuscito da Roma confrontarmi con una realtà mondiale come Netflix, ottenendone il plauso. Sono molto contento per questo, anche perché le avversità, durante lockdown, sono state molteplici".

Oltre a Suburra, quali altre serie televisive ti appassionano?

«La regina di scacchi mi è piaciuta tantissimo, è tutto perfetto, fotografia, casting, lo script, sembra veramente una storia vera. Mi ha stupito anche una serie tedesca, Barbari, che ha a che fare con l'antica Roma, in particolare il conflitto tra Roma e le popolazioni autoctone della Germania. Attualmente sto vedendo Sparita nel nulla, una serie colombiana e spagnola, la fotografia non mi piace molto, ma la storia è accattivante. Ha delle pedine messe sulla scacchiera, ti convinci che le posizioni siano quelle, poi, di colpo, avviene uno scompaginamento dei ruoli, il buono non è buono come sempre, c'è un ricambio continuo delle situazioni. Ti segnalo, infine, La barriera, una serie spagnola distopica, uscita a gennaio 2020, girata e scritta un anno prima. Parla quasi del periodo che stiamo vedendo: c'è un virus che si prende per vie aeree, Nora, e si è creato uno stato di polizia permanente. Pochi vivono in salute e ricchezza in una Madrid storica, protetta da un muro, non può entrare nessuno se non appartiene a una di queste famiglie ricche e benestanti. È davvero inquietante rispetto a quello che stiamo vivendo adesso»

Personalmente, ho molto apprezzato Hip Hop Evolution, la storia dell'hip hop in 16 episodi : non pensi che in Italia si conosca troppo poco la storia dei grandi pionieri di questa cultura?

«È inevitabile, in Italia l'hip hop ha avuto exploit molto rapido e molto concentrato negli ultimi anni, anzi, in realtà ha avuto quattro step: prima con il fenomeno delle posse, all'inizio degli anni Novanta, poi la mia generazione, quella di Fibra e poi la trap. Fino a Fibra c'è molta conoscenza e rispetto per i nomi del passato, anche se non si è fatto molto per valorizzarli: io, ad esempio, ho collaborato con Afrika Bambaataa e gli Articoli 31 con Kurtis Blow. Da lì in poi c'è stato un drastico cambiamento culturale e anagrafico. I ragazzi più giovani non solo non li conoscono, ma non vogliono conoscerli, perché li percepiscono come altro rispetto a quello che ascoltano. C'è stato un reset di quelle regole e di quel modo di far hip hop, spesso portatore di valori positivi. Oggi il rap è commercialmente più forte, ma più debole come contenuti, troppo spesso ripetitivi, nichilisti e al servizio del mercato. C'è una grande storia che oggi rischia di sparire, mentre andrebbe riscoperta, valorizzata e omaggiata con il giusto tributo ai pionieri dell'hip hop"

Musica e immagini sono strettamente correlate nei film: quali sono le pellicole che ti hanno maggiormente influenzato nella tua carriera?

«Come spettatore e come artista, ti direi per primo Blues Brothers, in cui c'è una componente musicale fortissima, oltre che grande ritmo e umorismo: l'ho visto 15 volte, ogni volta che lo guardo mi sembra perfetto, con cameo musicali memorabili, da James Brown ad Aretha Franklin. Più in tema rap, anche 8 mile mi ha segnato tanto, è riuscito a raccontare il mondo dell'hip hop senza 'marchettizzarlo'. Non posso non nominare la vecchia trilogia di Star Wars , quelle successive sono superiori a livello tecnico, ma con meno spessore contenutistico. Per quanto riguarda i film italiani, amo particolarmente Compagni di scuola, Un americano a Roma ed Ecce Bombo, oltre al poliziottesco all'italiana, che tanto mi ha ispirato a livello musicale»

I concerti a pagamento in streaming possono davvero essere il futuro dell'entertainment e soprattutto, possono davvero dare una mano concreta al settore della musica, in particolare alle maestranze che da tanti mesi non lavorano?

«Non può saperlo nessuno, ti dico qual è il mio augurio: premesso che, se questo può aiutare qualcuno in un momento difficile, ben venga qualsiasi soluzione e premesso che, se potessero coesistere i concerti in digitale come un di più rispetto ai concerti fisici, va bene, ma per me è fondamentale il concerto fisico, rituale, in carne ed ossa, con persone che escono di casa, si conoscono e che si aggregano per gusti musicali. Per me il concerto è saliva, sudore e amore, il contatto fisico del cantare e del ballare insieme. Se possono coesistere, ben venga, ma se lo streaming diventasse l'assassino della musica live, allora non avrei dubbi su chi buttare dalla torre»

Nel 2023 saranno 25 anni dal tuo album di debutto 'Comunque vada sarà un successo', ripubblicato un anno dopo con la hit Supercafone: pensi di festeggiare questa ricorrenza e che consiglio daresti, oggi, al Tommaso del 1998?

«Credo che non darei nessun consiglio, se ripenso alle cose che ho fatto ne cambierei al massimo 2-3. Ho sempre fatto di testa mia, non ho nulla da rimproverarmi, ho sempre seguito una linea molto personale e artistica nel mondo della musica. Non mi interessa essere inserito in un filone musicale definito, cerco di disegnare un mio tragitto personale e sincero. Non credo che nel 2023 festeggerò il passato perché mi affascina il futuro».

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Gabriele Antonucci