L'album del giorno: Queen, Hot Space
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L'album del giorno: Queen, Hot Space

"Un classico è un'opera che non ha mai finito di dire quello che ha da dire", ha scritto Italo Calvino, e non c'è dubbio che i Queen di classici ne abbiano composti numerosi, con buon pace dei loro detrattori. Al di là di tutto, quello che resta di una band o di un artista sono le canzoni, non gli esercizi di stile fini a se stessi che, magari, strappano l'applauso ma che non scaldano il cuore e di cui, nella memoria collettiva, non resta traccia. Chi non si è emozionato almeno una volta nell' ascoltare le epiche note di We are the champions come commento sonoro di un'impresa sportiva? Chi non è rimasto incantato dalla singolare commistione tra rock e opera di Bohemian rhapsody, da alcuni considerata la migliore canzone di musica leggera di sempre? Chi non ha mai ballato con l'irresistibile groove di Another ones bites the dust, scandito dal leggendario giro di basso di John Deacon? Chi non è mai stato attraversato da un brivido sulla schiena mentre ascoltava brani ricchi di pathos come Love of my life, The show must go on e Who wants to live forever? Dopo i travestimenti ultrakitsch degli anni Settanta in puro stile glam e i capelli lunghi, a partire dagli anni Ottanta il frontman Freddie Mercury ha trovato il look che è diventato il suo marchio di fabbrica nei concerti, entrando prepotentemente nell'immagginario collettivo: capelli cortissimi, baffi alla Clark Gable, petto nudo coperto talvolta dalla stola regale o dalla bandiera inglese, pantaloni e scarpe bianche, il microfono impugnato come uno scettro, quasi a ribadire: loro sono i Queen, io sono il Re. Ai primi anni Ottanta risale l'album Hot Space, uno dei più controversi e divisivi della loro ampia discografia per il suo sorprendente sound disco-rock, in cui le tastiere e i sintetizzatori vanno a braccetto con gli strumenti analogici.

«Avevamo sempre amato cambiare pelle e vivere il presente musicale che ci circondava» ha dichiarato allora Mercury. «Non sono mai stato uno da scelte sicure, in questo sono più bravi i miei compagni. Io preferisco rischiare». Registrato fra settembre 1981 e marzo 1982 al Mountain Studios di Montreux e al Musicland Studios di Monaco,Hot Space è quasi la naturale evoluzione dello stile disco-funk di Another One Bites The Dust, il 45 giri più venduto della loro carriera, un brano che originariamente non doveva neanche essere incluso in The Game e che invece è diventato uno dei brani più famosi e amati della loro carriera, in grado di incendiare ancora oggi qualsiasi dancefloor grazie allo straordinario giro di basso di John Deacon. Il manager Paul Prenter, nonostante allora curasse gli affari del solo Freddie Mercury dopo essere stato scaricato dal resto della band, spinse i Queen a dare la loro personale interpretazione delle sensuali atmosfere dei night club di Monaco, frequentati assiduamente da Mercury. Las Palabras De Amor (The Words Of Love), un omaggio al loro fedele pubblico latino, e Put Out The Fire, che condanna l'utilizzo improprio delle armi da fuoco, sono i brani più tradizionalmente queeniani, dove è maggiormente coinvolta la Red Special di Brian May.

Ciò che stupisce di più è la prima parte di Hot Space, con sei pezzi tutti da ballare: Staying Power e Body Language sono due brani dominati dall'elettronica, Back Chat sembra quasi un B-side degli Chic, mentre Dancer e Action This Day coniugano alla perfezione attitudine rock e ritmiche dance. Decisamente più morbido il secondo lato, dove troviamo alcune delle canzoni più memorabili dell'album: la ballad da brividi Life Is Real (Song For Lennon), un sentito tributo a John Lennon composto un anno di distanza dalla sua tragica morte, il suadente funk-soul di Cool Cat, in cui Mercury si produce in una straordinaria prova vocale in falsetto sopra un impasto chitarra/basso da antologia, e il capolavoro Under Pressure, un duetto stellare tra Freddie e David Bowie, nato di notte sulle rive del Lago di Ginevra: il crescendo nella fase finale della canzone, con una gara di bravura tra Mercury e Bowie, è una delle cose più emozionanti mai incise nella storia del rock.

La sgargiante e "warholiana" copertina dell'album, suddivisa in quattro quadrati di colore rosso, blu, verde e giallo contenente ciascuno il volto stilizzato di un componente della band, fu realizzata da Norm Ung, John Barr e Steve Miller su concept di Freddie Mercury. Hot Space, che ha ispirato perfino Michael Jackson mentre componeva il suo capolavoro Thriller, è un album spiazzante, eterogeneo e coraggioso, come dovrebbe essere la vera arte, che non può limitarsi a compiacere il fruitore. I Queen portano l'ascoltare in un territorio nuovo, fuori dalla zona di comfort del rock, ma, proprio per questo, l'album è ancora oggi così affascinante e fresco, nonostante alcuni suoni elettronici risultino fin troppo legati all'estetica degli anni Ottanta. Se pensiamo alla musica che oggi domina le classifiche, ci fa sorridere che un album come Hot Space venisse considerato un album "commerciale" (come se esistessero album composti apposta per vendere il meno possibile), leggero, quasi un tradimento nei confronti dei fan. I Queen si sono divertiti qui a sperimentare nuove soluzioni e, al netto di qualche brano più debole come Calling All Girls composto da Roger Taylor, Hot Space è un album ricco di colori, ritmo e divertimento, con una manciata di brani indimenticabili. Scusate se è poco.

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Gabriele Antonucci