Gaudiano: «Non voglio rincorrere i tormentoni»
Gaudiano / foto Ansa - Ettore Ferrari
Musica

Gaudiano: «Non voglio rincorrere i tormentoni»

Il cantautore foggiano, da anni trapiantato a Milano, racconta la sua vita dopo la vittoria a sorpresa tra le Nuove Proposte di Sanremo con l'intensa Polvere da sparo, dedicata alla morte del padre

«Per me è tutto un sogno, faccio ancora fatica a far combaciare la mia immagine con quella che vedo in televisione, sulle riviste e nei post che leggo sui social». Parola di Gaudiano, al secolo Luca Gaudiano, 29 anni, fresco vincitore di Sanremo nella categoria Nuove Proposte con l'intensa Polvere da sparo, dedicata alla morte del padre. Una vittoria del tutto inaspettata, visto che Gaudiano, prima di Sanremo, aveva pubblicato solo il doppio singolo digitale, Le cose inutili/Acqua per occhi rossi, a settembre del 2020. Il cantautore pugliese si è aggiudicato un posto tra le Nuove Proposte, distinguendosi tra le oltre 900 canzoni pervenute alla Rai, superando tutte le audizioni e conquistando pubblico e giuria nelle serate di Amasanremo, esibizione dopo esibizione, fino al posto più alto del podio.

Gaudiano, quanto è cambiata la tua vita nell'ultimo mese, dopo la vittoria di Sanremo tra le Nuove Proposte?

«Il cambiamento è stato relativo, nel senso che io sono cambiato poco, ma è cambiato tutto il resto intorno a me. Non avrei mai pensato di arrivare in fondo, anche perché in gara c'erano cantanti con molta più esperienza di me e che avevano già una loro fanbase consolidata: avevo pubblicato prima di Sanremo solo un singolo, ho acquistato credibilità esibizione dopo esibizione e al pubblico è piaciuta la mia proposta artistica. La vittoria a Sanremo è stata la ciliegina sulla torta di un lungo percorso che è partito dal nulla e che è stato lastricato di tanta fatica. Di conseguenza è aumentato tantissimo il lavoro dal punto di vista musicale, le richieste sono aumentate, si è alzata l'asticella delle aspettative. In questi giorni lavoro a testa bassa e cerco di rimanere sul pezzo, sono anche molto contento di come stiamo lavorando alle nuove canzoni»


Tu hai lavorato per anni nel mondo dei musical. Quanto sono stati importante per te l'accademia e il teatro come preparazione alla tua carriera di cantante?

«Sono stati fondamentali. Quando ho iniziato io, nel 2012, c'erano soltanto accademie del musical private, mentre adesso sono state istituite anche delle borse di studio statali. Mi sono trasferito da Foggia a Roma per frequentare l'accademia diretta da Gino Landi, la DA.RE.C, che era abbordabile per le mie possibilità economiche ma, al tempo stesso, era una accademia di rilievo, da cui erano usciti artisti importanti. Mi sono formato attraverso lo studio di canto, chitarra, recitazione e perfino due anni di danza classica, quest'ultima con scarsissimi risultati: Gino Landi ci teneva che camminassimo dritti. Mi è servita giusto per il portamento: sono entrato che ero goffo come una scimmia e ne sono uscito che camminavo finalmente come un homo erectus»

Hai vissuto a Foggia, a Roma e a Milano. Cosa ti piace di più e cosa di meno di queste città?

«Mi sono trasferito a Milano, perché dopo l'accademia ho iniziato subito a lavorare in teatro, nei musical American Idiot, Rent, Once e Ghost, ma ho portato di pari passo avanti il percorso delle mie canzoni. Era naturale che andassi a vivere a Milano, perché è la città che ti offre di più dal punto di vista discografico, c'è tutto quello che serve per entrare in un certo tipo di ambiente: le etichette, le radio, le produzioni e la moda. Roma mi ha dato tanto dal punto di vista teatrale, cinematografico e televisivo, però una città che soffrivo un po' per la sua grandezza e la sua dispersività, essendo io partito da Foggia che è piccola rispetto alle metropoli ed è pur sempre una città provinciale, con dei limiti dal punto di vista di atteggiamento culturale. Foggia è sempre la mia città, che amo e che porto sempre con me nel cuore, a cui non potrei mai rinunciare, nemmeno nella mia musica»

In che modo le canzoni a cui stavo lavorando adesso sono state influenzate dalle tue radici?

«Con Francesco Cataldo, che è il mio arrangiatore e produttore musicale, stiamo inserendo numerosi elementi della timbrica ritmica proveniente dalla tradizione della musica popolare pugliese, che va dal Gargano al Salento. Abbiamo inserito le pelli tirate sulle botte che si usano nella tammurriata, degli archi a monocorda, dei liuti e delle chitarre antiche utilizzate nelle pizziche. Non abbiamo fatto la pizzica in chiave moderna, ma abbiamo campionato dei suoni tradizionali per dar vita a un sound completamente originale. Noi italiani abbiamo una grande tradizione nella musica minimal elettronica, grazie al fatto che alcuni nostri dj, negli anni Settanta e Ottanta, sono andati in Germania, al Watergate, a scoprire e poi a riportare in Italia quel tipo di suoni. Nel 2021 la musica elettronica, che è un linguaggio ermetico dal punto di vista emozionale, grazie al campionamento di strumenti acustici opportunamente trattati con il digitale, può diventare qualcosa che suscita forti emozioni nelle persone»

Quali sono le tematiche intorno alle quali ruotano i tuoi nuovi brani?

«Il discorso delle mie canzoni è orientato nell'ottica delle relazioni, dei rapporti umani, di come la vita ci mette di fronte al fatto che le cose possano cambiare da un momento all'altro. Le domande che mi sono posto sono: come si può essere pronti ai cambiamenti improvvisi della vita? Che cosa succede nei rapporti quando questi cambiamenti avvengono? Quanto siamo forti e quanto siamo capaci di rimanere ancorati alle nostre cose più importanti? C'è anche un occhio di riguardo alla questione ambientale, che mi sta molto a cuore: stiamo andando nella direzione sbagliata, eppure la politica, nel 2021, parla ancora troppo di questo tema»

Quali sono gli artisti che hanno contribuito maggiormente alla tua formazione musicale?

«A casa mia si è sempre ascoltata tanta musica italiana, da piccolo ho ascoltato tantissimo Fabrizio De André, che è il più moderno dei cantautori "classici", sia a livello di metriche che per la capacità di scrittura. Poi ho avuto la fase adolescenziale post-punk, con gruppi tipo Blink 182, Green Day, Foo Fighters e Slipknot, e infine sono arrivato al pop italiano più elegante, da Samuele Bersani a Tiziano Ferro, che mi ha insegnato a cantare. Amo particolarmente i Negramaro, per me Giuliano Sangiorgi, sia dal punto di vista vocale che di scrittura, è il numero uno. Mi ha mandato un bel messaggio quando ho vinto Sanremo, il mio sogno è fare un brano insieme a lui. Speriamo di riuscirci»

La scrittura di Polvere da sparo, nata in momento molto duro della tua vita in cui hai dovuto affrontare la malattia e poi la morte di tuo padre, è stata frutto di un'ispirazione legata a un momento ben preciso o ha richiesto una lunga gestazione?

«La canzone è stata scritta di getto in treno sopra un tovagliolo di carta, ero partito molto presto da Foggia, dovevo andare a Milano perché avevo deciso di prendere in mano la mia vita, dopo la morte di mio padre. Quando mi sono svegliato, credo verso le 11 di mattina, ho scritto le prime parole che ero ancora assopito. Ho avuto quasi la sensazione di essermi svegliato da un incubo, invece, purtroppo, era la realtà. La cassa in quattro, con i bpm a 113, serviva a ravvivare un brano che aveva già un taglio drammatico, in modo da evitare che fosse troppo didascalico»

Ho letto i commenti alla tua canzone su Youtube. Mi ha colpito come molte persone abbiano raccontato i propri lutti e di come il brano le abbia aiutate a superare un momento di sconforto. Ti spettavi una reazione simile, in così poco tempo?

«Ho sempre creduto tantissimo nella forza della canzone, una storia personale che faceva entrare gli altri nel mio mondo, ma non mi sarei aspettato questo tipo di reazione. Mi hanno scritto delle cose incredibili, persone cadute in depressione che hanno perso i genitori, a cui è mancata la terra sotto i piedi e ai quali la mia canzone è stata di grande aiuto. I lutti sono dei buchi quasi fisici, è come se ti staccassero un braccio, se non sei pronto, rischi di fare una sciocchezza. Con questi messaggi capisci che tipo di responsabilità hai quando scrivi una canzone e qual è la direzione giusta: non devo rincorrere i ritornelli e i tormentoni, i milioni di stream e su Youtube, ma continuare a scendere in profondità, a scavare dentro perché la gente ha bisogno di questo. La missione dei cantautori è quello di colmare tutto ciò che le persone non riescono ad avere nella loro vita, di diventare la colonna sonora delle loro giornate, raccontando la gioia e il dolore della gente»

Il 21 novembre sarai in concerto ai Magazzini Generali di Milano e il 25 novembre al Largo Venue di Roma. Sei ottimista? Che cosa ti aspetti da questi due concerti?

«Saranno i miei primi concerti come Gaudiano, in cui sono io al 100% e dove non interpreto nessun ruolo. La gente, superata la dimensione di Polvere da sparo che è molto pesante come immagine, mi conoscerà anche in una versione più leggera, anche grazie ai brani che stanno per uscire e al tipo di concerto che ho in mente. Vorrei portare in giro una dimensione di spettacolo con uno sguardo internazionale, penso ai grandi show dei Queen, di Justin Timberlake, Lady Gaga e Dua Lipa, che hanno una forte capacità di palco anche dal punto di vista performativo. Per me la dimensione del performer è importantissima, voglio portare nel concerto il bagaglio acquisito nei musical, non posso fare l'attore diviso dal cantautore, deve essere tutto motivato da un' interpretazione coerente, organica e onesta. Il disegno luci sarà curato da Valerio Timperi, che è uno dei migliori light designer in Italia. Lui ha lavorato con Roberto Bolle, per alcuni programmi Rai e in grandi musical: con le luci crea delle vere opere d'arte. Spero proprio che si facciano questi concerti, ho voglia di buttare il sangue sul palco, voglio uscire dalla zona di comfort del concerto in cui il cantante sta fermo davanti all'asta del microfono e creare uno show per le persone, dando a loro il doppio di quello che hanno pagato per il biglietto»

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Gabriele Antonucci