Gregory Porter: «Ho cantato per la regina Elisabetta, ma mi sento lo Spartacus del jazz»
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Gregory Porter: «Ho cantato per la regina Elisabetta, ma mi sento lo Spartacus del jazz»

Il grande cantante americano, vincitore di due Grammy Awards, ha presentato alla Mostra di Venezia il tour che lo vedrà esibirsi a novembre a Milano e Padova

«È la prima volta che vengo alla Mostra di Venezia. Mi piaceva l’idea di presentare il mio tour italiano in questa atmosfera così esaltante. Il cinema è un amore di famiglia, mi hanno sempre affascinato i kolossal hollywoodiani, che a volte sono stati fonte di ispirazione per creare le mie canzoni». Parola di Gregory Porter, una delle più belle voci jazz contemporanee, come confermano anche i 2 Grammy Awards vinti per gli album Liquid Spirit e Take Me to the Alley e dai 3 milioni di dischi venduti in dieci anni di carriera. Porter ha un rapporto speciale con il cinema (alcuni suoi brani hanno fatto da colonna sonora a film di grande successo come Avengers e Animali Fantastici e dove trovarli), per questo ha presentato, in occasione della 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia, un esclusivo tour di sole due tappe italiane, dal titolo “A special evening with Gregory Porter”, che lo vedrà protagonista al Teatro Dal Verme di Milano (venerdì 18 novembre) e al Gran Teatro Geox di Padova (sabato 19 novembre).

Due serate evento prodotte da ZedLive e fortemente volute dalla sua co-fondatrice Valeria Arzenton, nelle quali il cantante americano, vincitore di 2 Grammy Awards, proporrà il meglio di dieci anni di carriera discografica, che è stato recentemente raccolto nel progetto Still Rising, composto da 34 brani tra grandi successi, cinque inediti e tanti duetti prestigiosi. Porter è stato presentato e ha dialogato a Venezia con Nick The Nightfly, storica voce di Radio Monte Carlo. Abbiamo intervistato il cantante, sempre sorridente ed elegantissimo nonostante la stazza imponente (è alto quasi due metri e da giovane ha giocato a football americano a discreti livelli, prima di dedicarsi completamente alla musica n.d.r.), in una terrazza del Lido di Venezia, dove si è raccontato senza filtri e con grande disponibilità.

Mr. Porter, oggi è ospite per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia per presentare il suo tour a Milano e Padova. In che modo il cinema ha influenzato la sua musica? Se dovesse recitare come attore in un film di Hollywood, quale ruolo le piacerebbe di più interpretare?

«Domanda interessante. Mi piace raccontare la vita e le sue sfide attraverso la musica: le mie canzoni sono sempre basate su storie vere, che ho vissuto in prima persona. Il cinema, a prescindere dal genere e dal budget, racconta sempre storie di persone e i film sono stati di grande ispirazione per i testi di alcune mie canzoni. Chi conosce la mia musica, sa che c'è sempre una sorta di "desiderio dell'eroe" nei miei testi. Non mi riferisco, però, ai supereroi tipo Superman o Avengers, a me piacciono gli eroi di ogni giorno, senza costume né superpoteri, che aiutano gli esclusi, i poveri, quelli con meno fortuna e che lottano per la loro sopravvivenza. Se ti dovessi dire un ruolo, mi piacerebbe interpretare Spartacus: lui era uno schiavo, che però ha trovato la forza di liberare altri che erano nella sua condizione»

Guardando alla sua storia personale, piena di difficoltà, si può dire che trasformare il negativo in positivo è una lezione che ha imparato dal suo maestro Nat King Cole, a cui ha dedicato nel 2017 l'album Nat King Cole & Me. Come ci è riuscito?

«Penso che sia una tradizione tipica del gospel e della black american music quella di trasformare una situazione negativa in qualcosa di positivo. La mia più importante influenza da bambino, tanto da dedicargli nel 2017 un intero album, è stato Nat King Cole: se pensi alle sua canzoni, lui cantava "Pick yourself up, dust yourself off, start all over again, "smile, even your heart is aching", "pretend you're happy when you're blue". Non sono solo canzoni, ma vere lezioni di vita che ti esortano a trovare un pizzico di ottimismo anche nelle difficoltà. Anche mia madre pensava in questo modo, lei era una predicatrice e diceva sempre: tutto può essere cambiato e rinnovato, chiunque può redimersi, anche nell'ultimo giorno della sua vita»

A proposito dei suoi genitori: è stata più influente l'assenza di suo padre o l'incoraggiamento di sua madre nel farla diventare quello che è oggi?

«Wow, che domanda difficile! Devo le corde vocali a mio padre, che aveva una bellissima voce, anche se l'ho scoperto solo il giorno del suo funerale, ma è stato molto più importante il costante incoraggiamento di mia madre, il suo ottimismo, le sue convinzioni sulle persone e la volontà di trasformare ogni situazione, anche la più difficile, in qualcosa di migliore. Tutte queste sue caratteristiche sono confluite naturalmente nella mia musica: pensa, ad esempio, acanzoni come Revival Song e a Liquid Spirit»

Lei ha raggiunto il successo mondiale, nel mondo del jazz, a quasi quarant'anni. Come ha fatto a crederci così a lungo?

«Ho provato diverse angolazioni prima di riuscire a trovare la direzione giusta e non potevo aspettarmi che la mia etichetta degli esordi mi facesse diventare una star. Quando ho pubblicato Water non volevo impressionare nessuno, volevo solo che fosse una testimonianza di quello che ero all'epoca. Aspettavo che la gente si accorgesse di me, avevo mille copie di cd in casa, ne vendevo cinque a settimana nei miei spettacoli ed ero convinto che Water sarebbe stato il mio unico disco. L'album è stato poi candidato ai Grammy e ha iniziato a farmi conoscere, ma è con il successivo Be Good che è avvenuta la svolta della mia carriera: la title track ha toccato l'anima di tante persone e ancora oggi è quello il mio album preferito. Pensa che io avevo registrato Be Good durante le sessions di Water, ma poi, per un fraintendimento, non era entrato nella tracklist dell'album, così è diventata automaticamente la prima canzone del mio secondo lavoro»

Nel 2013 il suo terzo album Liquid Spirit, il primo per una major, è stato il disco jazz più ascoltato in streaming di sempre. Come ha fatto a raggiungere un pubblico di tutte le età?

«Ho avuto la possibilità di viaggiare in tutto il mondo e soprattutto in Europa ho notato che non venivo categorizzato rigorosamente in un ambito jazz. Alcuni miei brani passavano anche in radio, come ad esempio Hey Laura, che ha un lungo assolo di pianoforte, non molto comune per i network commerciali. Anche i remix in chiave dance di Liquid Spirit e Holdin' On mi hanno aiutato a far conoscere i miei brani originali a un pubblico più giovane rispetto a quello tradizionale del jazz»

Quanto ha influenzato la sua musica il fatto di vivere a Bakersfield, in California, negli anni Ottanta?

«A Bakersfield c'erano tante brave persone e anche i miei amici, ma ho dovuto affrontare per molti anni della mia infanzia alcuni razzisti che non avevano alcun problema a mostrare il loro razzismo. Tutto questo ha influenzato necessariamente la mia musica e la mia missione. Quando canto When love was king o Mr.Holland ritrovi tutto quello che ho vissuto allora: nell'ultima canzone ringrazio un uomo per avermi trattato normalmente, in modo gentile, il che ti fa capire che all'epoca non era affatto così. Ho dovuto ripulire e mettere in un'altra prospettiva tutte quelle brutte esperienze»

Ma è vero che alcuni anni fa, quando non era ancora famoso, un uomo, in un locale di New York, l'ha pagata duecento dollari per smettere di cantare? Oggi accade esattamente l'opposto...

«Sì, è successo veramente all'Anyway Cafe in Brooklyn: a ripensarci oggi mi viene ancora da sorridere. Lui era con una ragazza molto avvenente e lei mi stava ascoltando con molta attenzione: poiché a lui questa cosa non piaceva e voleva rimanere tranquillo, si è avvicinato a me visibilmente contrariato e mi ha messo in tasca duecento dollari, chiedendo di smettere di cantare immediatamente. Io gli ho sorriso e gli ho risposto: "ok, è la mancia più grande che abbia mai preso in vita mia!"»

Dove e in che modo ha trovato la sua voce?

«Quando mi sono trasferito a New York, a trentadue anni, ho avuto una sorta di riconoscimento da parte del pubblico di Brooklyn e di Harlem. Prima di New York avevo il mio sound, ma non avevo la sicurezza nei miei mezzi e, soprattutto, non pensavo di poter diventare un cantante di successo e di avere un sound internazionale: là, nella Grande Mela, ho trovato la mia vera voce»

Ho letto che lei ha conosciuto sua moglie Victoria (che è russa n.d.r.) a Mosca, in quello che è stato il suo primo concerto al di fuori degli Usa. È andata proprio così? Come sta vivendo questi ultimi mesi di guerra?

«È assolutamente vero, sono stata la prima persona nera che ha visto dal vivo nella sua vita: poiché era già un' appassionata di jazz, prima di me gli artisti neri li aveva visti solo sulle copertine degli album che aveva a casa! Mi ha confessato successivamente che, mentre mi fissava, pensava contemporaneamente a due cose: da un lato era affascinata da me, dall'altro era stupita dal mio aspetto. Lei proviene da una piccola città nel Sud della Russia, vicino all'Ucraina, e le sue radici sono ucraine. Quella che sta vivendo negli ultimi mesi è una situazione molto difficile: i suoi genitori vivono ancora là e sono esposti alla propaganda, a volte discuto al telefono con loro e abbiamo posizioni diverse, è una situazione molto dolorosa per tutti»

Lei ha suonato in tanti eventi prestigiosi, da Glastonbury al Giubileo di Platino della regina Elisabetta, fino al lancio della Mars Perseverance Rover della Nasa. Quali sono i concerti che ricorda con più affetto?

«Non so come, ma mi hanno detto che sono uno dei cantanti preferiti della regina d'Inghilterra, tanto che l'invito per il Giubileo mi è arrivato direttamente dalla famiglia reale: non me lo sarei mai immaginato, quando ho iniziato a cantare in piccole chiese e in piccoli club di New York. Cantare l'inno americano per il lancio della Mars Perseverance Rover della Nasa è stato il sogno che non ho mai osato sognare, eppure i concerti a cui sono più legato sono i quattro show che ho tenuto alla Royal Albert Hall. Mi ricordo la prima volta che ho cantato a Londra e ho pensato: "non sarò mai in grado di suonare in un posto così". Qualche anno dopo ho persino sognato una notte di cantare alla Royal Albert Hall e invece, poi, ho fatto nel 2021 quattro concerti sold out, con 20.000 persone che erano venute ad ascoltarmi da tutta l'Inghilterra con grande attenzione e partecipazione. Alla Royal Albert Hall c'è una grande intimità, anche se è una sala molto grande, oltre ad avere un suono fantastico. È il massimo per un cantante»

Prima di dedicarsi completamente alla musica, ha giocato ad alti livelli a football americano. Che cosa ha imparato di più dallo sport?

«L'interesse per lo sport si è spostato naturalmente verso la musica, soprattutto dopo un brutto infortunio che ho avuto. Dallo sport ho imparato l'uguaglianza e la democrazia, ad aiutarsi l'uno con l'altro e a pensare con lo stesso ritmo: nel jazz il batterista non può andare da una parte e il pianista da un'altra, dobbiamo andare tutti insieme allo stesso ritmo per ottenere qualcosa di buono. Se ci pensi, è la stessa cosa anche nella vita».

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Gabriele Antonucci