Fabrizio De André: Faber avrebbe 80 anni
Fabrizio De André (Ansa)
Musica

Fabrizio De André: Faber avrebbe 80 anni

Un ritratto del poeta-cantautore che in questi giorni è nei cinema italiani con le riprese inedite degli storici concerti con la Pfm

Sono passati oltre vent'anni dalla scomparsa di Fabrizio De André, morto l'11 gennaio 1999, un notevole lasso di tempo che, invece di offuscare il valore culturale e popolare del suo lavoro, rende ancora più doloroso il distacco dal cantautore genovese, specie se paragonato al desolante panorama odierno della musica italiana di largo consumo.

Nato il 18 febbraio del 1940 in via de Nicolay 12 a Genova Pegli, Fabrizio Cristiano De André cresce in una famiglia piemontese benestante, mentre il giovane Faber si scontrava con le prime contraddizioni della società ed elaborava quasi inconsapevolmente la sua poetica.

Davvero singolare il fatto che, mentre frequentava il liceo classico, il giovane Fabrizio andava male in italiano, raggiungendo a fatica la sufficienza perché i suoi temi erano considerati troppo disordinati per il suo professore.

La sua è stata una vita intensissima fin dall'adolescenza, tra i primi tentativi musicali, la ribellione e la scoperta del sesso e dell'alcol, fortemente influenzata dai 35 anni vissuti a Genova, una città-laboratorio "verticale, sempre in eterna lotta con gli spazi, diffidente con i forestieri, culturalmente luterana e al tempo stesso cosmopolita", come ha sottolineato Giuliano Malatesta nel suo pregevole volume La Genova di De Andrè (Giulio Perrone Editore). Nel libro si ripercorre l'amicizia tanto intensa quanto fugace con Luigi Tenco e quella impossibile con il poeta Riccardo Mannerini, ricordando gli esordi sul palcoscenico o le peregrinazioni notturne in quei carrugi che il suo mentore Remo Borzini chiamava "fossili di storia patria".

E poi, ancora, i successi, il processo per oscenità a "Carlo Martello", il primo matrimonio, il figlio Cristiano, Dori Ghezzi e la Sardegna, il sequestro, la malattia. Da Bocca di Rosa a Don Raffaé, da Il testamento a Un giudice, da La canzone di Marinella a Il bombarolo, da Smisurata preghiera a Verranno a chiederti del nostro amore, oggi le canzoni del cantautore genovese occupano un ruolo centrale nella storia della nostra canzone. La produzione di De André è disseminata di capolavori, dalle crude ballate degli anni Sessanta fino alle composizioni più audaci e impegnative, come gli album Le nuvole e Anime salve, passando per Creuza de ma, tra i più importanti dischi di world music in assoluto.

In questi giorni è imperdibile il docufilm Fabrizio De André e PFM. Il concerto ritrovato, nelle sale cinematografiche solo per tre giorni, il 17, 18 e 19 febbraio, che ricostruisce l'irripetibile sodalizio artistico tra uno dei più grandi artisti italiani di sempre e la rock band italiana più conosciuta al mondo, un legame nato ai tempi della registrazione in studio dell'album La buona novella. Un documento straordinario,prodotto da Sony Music con Except, visto che si tratta dalla ritrovata registrazione video completa del concerto di Genova del 3 gennaio 1979, le uniche immagini di quell'incredibile tournée nei palasport.


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Dopo un lungo periodo di ricerca con il supporto di Franz Di Cioccio, il nastro che si credeva perduto per sempre è stato rintracciato e grazie al regista Piero Frattari, che lo ha salvato e conservato nel corso dei decenni, è stato recentemente possibile restaurarlo. Il filmato restaurato del concerto è il fulcro del docufilm, diretto da Walter Veltroni, le cui immagini sono raccontate dai protagonisti di quell'avventura straordinaria - Dori Ghezzi, Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Franco Mussida, Flavio Premoli, David Riondino, Piero Frattari, Guido Harari – che rievocheranno l'atmosfera di quel giorno, le emozioni provate, il dietro le quinte e la magia di un'esperienza mai più replicata.

De Andrè si serviva della musica per raccontare l'uomo, la sua vita, le sue fragilità. Ha saputo portare al centro dell'attenzione chi da sempre era considerato e collocato ai margini della società: emarginati, ribelli, prostitute e "gli ignorati e perseguitati dal potere", che lui sentiva vicini al suo ideale di anarchia bonaria. Faber, come lo ha soprannominato l'amico Paolo Villaggio, ha fotografato il nostro tempo in perfetto equilibrio tra senso dell'ironia e il senso del dramma, ne ha espresso gli ideali e le sfumature della vita quotidiana con esemplare capacità poetica, misura e coraggio.

Un "falegname di parole" che ci ha lasciato in dote 131 canzoni, da Nuvole barocche uscita nel 1961 fino all'album Anime salvedel 1996, più gli inediti usciti postumi nel 2008.

La sua musica era una sintesi sorprendente tra jazz americano e chansonnier esistenzialisti francesi, mentre non si può prescindere dalla forza dei suoi testi e dalla curiosità che trasmetteva, in modo silenzioso, portando l'ascoltatore, quasi senza accorgersene, a leggere L'antologia di Spoon River, i Vangeli Apocrifi o ad ascoltare Georges Brassens, Leonard Cohen e Bob Dylan. Molti cantautori italiani si sono ispirati a lui, in primis Francesco De Gregori, che con De André collaborò e che ha ammise di aver iniziato a scrivere canzoni proprio perché ispirato da quelle di Faber, fino a Ivano Fossati, altro suo caro amico, che lo definì a più riprese un punto di riferimento, senza dimenticare tutti gli artisti che hanno partecipato all'album celebrativo Faber, amico fragile del 2003: da Celentano a Zucchero fino a Vecchioni, Battiato e Gino Paoli, passando per Vasco Rossi e Luciano Ligabue.

La diversità di Faber dagli altri cantautori coevi era evidente fin dall'aspetto, con il viso pulito, l'aspetto curato e quel ciuffo mosso che quasi gli copriva un occhio, ma soprattutto nell'interpretazione: la sua voce profonda, elegante e con una dizione perfetta scandiva le parole con una chiarezza, con una velocità e con una comunicativa da consumato attore. Come alcuni rapper di oggi, ma con molta più raffinatezza nelle liriche, De Andrè dava voce a personaggi a volti discutibili, a volte ripugnanti, non di rado antitetici alla sua visione della vita, senza paura di affrontare argomenti difficili e scomodi, senza mai strizzare l'occhio ai gusti del pubblico: si pensi a Il giudice, Il pescatore ea Don Raffaè. Il cantautore genovese, inoltre, ha avuto il merito di aver liberato il dialetto dalle pastoie delle vecchie ballate popolari, traghettandolo nella musica moderna e assegnandogli una centralità che non aveva mai avuto prima di lui.


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Bocca di rosa, una delle sue canzoni più famose, è un l'emblema della sua poetica, un film in miniatura maliconico e spiritoso al tempo stesso, con personaggi che compaiono e scompaiono nel giro di pochi secondi. De Andrè, nelle sue canzoni, parte sempre da un episodio di vita per raccontare "le umane cose" ed il loro evolversi secondo schemi prestabiliti e sempre uguali. A meno di un atto di coraggio che implica il voler essere sé stessi, liberi da qualsiasi etichettatura sociale. Un atto che, spesso, si paga caro.

Bocca di Rosa non è etichettabile. Ha scelto la libertà di essere sé stessa e di vivere l'amore come dovrebbe essere: non di convenienza. Questo, «per la gente che dà buoni consigli quando non può più dare il cattivo esempio», è inaccettabile.
L'uomo-vittima di De Andrè combatte sempre quello che non conosce, perché gli ricorda la parte più oscura di sé. L'uomo-eroe è quello che sceglie di scegliere. Ovviamente, la strada più difficile.

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Gabriele Antonucci