Lewis Carroll, scrittore e fotografo
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Lewis Carroll, scrittore e fotografo

Le fotografie del papà di 'Alice nel paese delle meraviglie' ci raccontano un reverendo dai gusti molto particolari

Oltre che uno scrittore di successo, il reverendo Charles Lutwidge Dodgson, alias Lewis Carroll, fu anche uno straordinario fotografo. Nel volume Lewis Carroll, scrittore e fotografo, edito da Postcart, Diego Mormorio ripercorre la parabola artistica e figurativa del grande autore.

La scoperta della fotografia
Tutto comincia al Christ Church College di Oxford, dove il nostro reverendo insegna matematica. Fu l’amico Reginald Sothey a introdurlo all’arte della fotografia allora nascente. I mezzi e le tecniche erano ancora rudimentali e una vera estetica dell’immagine fotografica aspettava ancora di essere inventata.

La complessità del processo avvicinava la fotografia più all’artigianato meccanico che all’immediatezza del gesto artistico vero e proprio. L’idea di cogliere un’istante o una scintilla di verità sfiorava appena i pionieri del mezzo che nelle loro immagini ricercavano piuttosto la composizione dei corpi e il bilanciamento dei pieni e dei vuoti, proprio come negli stilemi tipici della pittura.

Carroll ne fu folgorato. La passione per il teatro, che sempre lo aveva infiammato (e a cui mai aveva potuto dare pieno sfogo dal momento che calcare un palcoscenico non si addiceva a un reverendo), trovava finalmente uno sbocco: nella fotografia avrebbe riversato il suo gusto per la messa in scena.

La passione per i bambini
Ma la fotografia fu anche il mezzo che gli permise di coltivare una passione ben più delicata e controversa: quella per i bambini, i suoi soggetti preferiti. Di fronte alle immagini delle ragazzine discinte che amava ritrarre, furono in molti  a farsi l’idea che egli fosse un pedofilo represso, meno quelli convinti di trovarsi di fronte a castissimo santo adoratore di bambini.

La verità, però, andrebbe ricercata altrove. Da una parte è innegabile riscontrare nell’immaginario di Carroll quelle che oggi la psicologia indicherebbe come sublimazioni e fantasie a sfondo sessuale. Dall’altra, non sta a noi esprimere pareri clinici, né tantomeno giudizi, sulla vita interiore del reverendo. Quel che è certo, è che i bambini erano in tutto e per tutto i suoi esseri umani preferiti. Niente lo incantava più del loro avventurarsi in mondi di fantasia, della loro capacità di astrazione, e del loro dialogo ininterrotto con la natura. I bambini erano parte integrante di quel mondo amato dall’inconscio che Dodgson non smise mai di frequentare con le poesie, le fotografie e i giochi di parole di cui Alice nel paese delle meraviglie è l’incarnazione suprema.

Una passione innocente?
In compagnia dei suoi piccoli amici, Lewis Carroll riusciva sempre a ritrovare quei luoghi sospesi fra sogno e realtà da cui ci si allontana irrimediabilmente con l’età adulta, ma che per lui era di vitale importanza continuare a frequentare. Come scrive giustamente Mormorio, «Era un uomo che si divertiva soprattutto con la matematica e le bambine, per le quali scriveva favole e faceva fotografie. Queste due cose – le favole e le fotografie – avevano per lui la stessa sostanza: fin dall’inizio, l’una presupponeva l’altra. La qualità immaginifica dei suoi racconti è tutt’una con la letterarietà delle sue fotografie– vivono nello stesso mare».

Chissà se una società più o meno perbenista avrebbe fatto bene al talento e alla psiche del reverendo Dodgson. Quel che è certo è che quella vecchia volpe è riuscita ad attraversare il suo secolo senza danni, e a consegnarci una delle opere più straordinarie della storia della letteratura mondiale.  

Lewis Carroll fotografo

Charles Lutwidge Dodgson
Edith, Lorina e Alice Liddell in Apri la bocca e chiudi gli occhi, estate 1860

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