Lettera aperta a un attaccante italiano all’estero

Alla mia età, ufficialmente, ho fatto pace con il fatto che non giocherò mai in una squadra di calcio di un certo livello e non diventerò l’idolo di un’intera tifoseria. In fondo ho studiato, mi sono costruito una specializzazione e …Leggi tutto

Alla mia età, ufficialmente, ho fatto pace con il fatto che non giocherò mai in una squadra di calcio di un certo livello e non diventerò l’idolo di un’intera tifoseria. In fondo ho studiato, mi sono costruito una specializzazione e delle competenze, ho avuto dei riconoscimenti professionali, c’è gente che mi stima e altri che mi vogliono bene; e nella nostra società si finge generalmente che queste cose siano più gratificanti del proprio nome scandito a gran voce dai supporter della Ternana.

Ormai, in ogni caso, è andata così, dunque ci ho messo una pietra sopra. Ieri però Davide Lanzafame mi ha molto amareggiato e ha riaperto una ferita che pareva chiusa.

Premetto che ho grande stima, da sempre, per l’eclettico attaccante di scuola Juve, e in passato l’ho anche tesserato per la mia formazione di fantacalcio, su suggerimento di un caro amico. Potrei dire che è proprio per questo che mi ha addolorato vedere il suo comportamento infantile e assurdo, che gli è costato un’espulsione più che evitabile nell’ultimo turno del campionato ungherese (https://www.youtube.com/watch?v=eQ5GYlkHqF8), ma mentirei. La questione reale è che non si può indossare la maglietta della Honvéd di Budapest, la gloriosissima società di Ferenc Puskás, Sándor Kocsis, Lájos Détári, ecc., e comportarsi così: io, per dire, io se avessi sul petto lo stemma dei Difensori della patria non prenderei mai neanche un’ammonizione, sarei fermo e gentile con arbitri e avversari, carezzerei l’erba, più che camminarci, e ascolterei rapito i canti dei miei tifosi, in una lingua per me assolutamente incomprensibile e foriera di gravi incomprensioni anche fra parenti e amici; tutto questo, peraltro, senza mai smettere di vincere contrasti e dettare calcio a centrocampo, con efficacia pari solo alla mia applicazione.

Non mi va, insomma, che qualcuno prenda con sufficienza un incarico da cui io sono stato escluso (eppure ho un bel destro); credo invece che tali fortune vadano meritate e onorate, anche per non far sospirare noi meri voyeur della società dell’immagine. Ma non parlo certo da uomo ferito.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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