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L'anello di Allah nella tomba vichinga

Rinvenuto in Svezia un anello con dedica in arabo databile al IX secolo d.C., epoca in cui Vichinghi e Arabi dominavano le rotte commerciali altomedievali europee.

Il ritrovamento

Il prezioso manufatto è stato recuperato più di 100 anni fa, dall’archeologo Hjalmar Stolpe durante le campagne di scavo condotte tra il 1872 e il 1895. L’anello proviene da una tomba femminile datata all’ 850 d.C. e trovata nel centro commerciale vichingo di Birka, considerata tradizionalmente la prima città della storia svedese, fondata sulla strategica isola di Björkö a 25 km da Stoccolma. Nei cataloghi del Museo di Stoccolma il reperto è sempre stato catalogato come un anello in argento con ametista viola incastonata che riporta incisa la scritta in arabo kufico “Per Allah”. Anelli simili per fattura sono stati rinvenuti in altri siti scandinavi e datati alla medesima epoca, ma questo è l’unico che riporta una iscrizione in arabo.

Le nuove analisi

Recentemente il biofisico Sebastian Wärmländer dell’Università di Stoccolma ha esaminato l’enigmatico anello con analisi più approfondite. Il team svedese ha analizzato il reperto con un microscopio elettronico a scansione (SEM – EDS / Scanning Electron Microscope) e con un microscopio stereoscopico: l’obiettivo è stato identificare con precisione i materiali con cui è stato realizzato il gioiello e la loro origine. La lega metallica è risultata composta per l’94,5% da argento. Novità più interessanti sono emerse dalla gemma: non si tratta di una pietra come originariamente si pensava ma di vetro. La composizione rilevata è, infatti, tipica dell’impasto vetroso di produzioni orientali. Il colore violaceo è stato ottenuto con l’aggiunta di pigmenti colorati all’impasto di vetro. La particolare fattura dell’anello suggerisce che si tratti di un oggetto prodotto e importato dall’Oriente. Lo studio di Sebastian Wärmländer è interamente consultabile online .

La donna araba

Tracce di usura sulla superficie d'argento, inoltre, suggeriscono che l'anello abbia avuto diversi proprietari prima di entrare a far parte del corredo della tomba di Birka. Analisi antropologiche sui resti della tomba rinvenuta alla fine del XIX secolo avrebbero potuto chiarire l’origine etnica della defunta: non è del tutto impossibile che la donna inumata potesse essere di origine araba e provenire direttamente dal Califfato.
L’iscrizione incisa è in kufico, stile calligrafico sviluppato nel mondo arabo a partire dal VII secolo e utilizzato fino al X secolo prima di essere definitivamente rimpiazzato dallo stile Naskh nel XII secolo. In base alle lettere ancora leggibili l’anello reciterebbe la formula “Per Allah” o “Da Allah” ma non è escluso che per usura si siano erasi alcuni caratteri e che il messaggio originale fosse “Inshallah” (“se Dio vuole”).

La globalizzazione Alto Medievale

L’anello studiato dal team di Stoccolma costituisce l’ennesima conferma archeologica dell’infondatezza della tesi di Pirenne, secondo la quale con la dominazione araba nel mediterraneo nel VII secolo l’Europa cristiana avrebbe troncato ogni contatto commerciale e culturale con l’Oriente. I contatti tra Vichinghi (noti anche come Varieghi o Variaghi) e gli Arabi avvenivano lungo le vie commerciali continentali europee: materie prime (soprattutto pellicce e legname) venivano scambiate dai mercanti nordici con l’argento puro delle monete arabe, rinvenute spesso nei contesti archeologici scandinavi. I Vichinghi misero in collegamento il mare Baltico con i mercati bizantini e arabi attraverso i grandi fiumi della Russia che sfociavano nel Mar Nero e nel mar Caspio.
Cronache scandinave e arabe riportano notizia di questi contatti reciproci: Ibrâhîm ibn Ya`qûb al-Tartushi (X secolo d.C.), mercante arabo ispanico, per esempio, nei suoi scritti racconta del suo viaggio nelle terre dei Vichinghi.

La storia e l’archeologia, ancora una volta, dimostrano che il mondo nel passato sia stato più globalizzato di quel che erroneamente si è sempre pensato. Europa cristiana e mondo islamico nell’Alto Medioevo cooperavano e convivevano più di quanto oggi si possa immaginare.

Ragnar Saage and Christer Åhlin / Swedish History Museum

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