La misteriosa ricetta del successo Lucano
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La misteriosa ricetta del successo Lucano

La storia dell'amaro nato vicino a Matera e sopravvissuto a due guerre e a tentativi di acquisizione. Oggi un'industria che esporta il 15% del fatturato

Ci sono storie d’impresa dall’incredibile plot narrativo, che nel prodotto inglobano storie di vita, di guerra, di famiglia e che fotogramma dopo fotogramma scrivono la storia dell’Italia. Una di queste è quella della famiglia Vena da Pisticci, borgo antico poco lontano dallo spettacolo dei sassi di Matera, produttrice dal 1894 dell’amaro Lucano. Il racconto inizia prima delle guerre mondiali con il fondatore Pasquale Vena e arriva alla quarta generazione di oggi, con i pronipoti Leonardo, Francesco e Letizia già inseriti nell’azienda ancora guidata dal padre Pasquale (foto) e sua moglie Rosistella Provinzano. Nel mezzo c’è il racconto di un’azienda nata nel retrobottega di un pasticcere di paese e arriva a un‘industria familiare da 23,5 milioni di ricavi (in crescita del 27 per cento rispetto al 2014) e ambisce a diventare un grande polo mondiale nel settore degli spirits.

Come? Riprendiamo la storia da cinque anni fa, quando Lucano, già protagonista di importanti campagne pubblicitarie inizia a spingere sul marketing internazionale, per affermare all’estero un prodotto, l’amaro, ancora poco noto al di fuori di Italia e Germania (primo mercato europeo). L’amaro Lucano si espande dunque in Usa e Canada, dove era già arrivato al seguito degli emigrati italiani, e qui si afferma soprattutto come prodotto base di molti cocktail per poi allargarsi anche in Brasile e in Cina. “In Cina volevano chiamarci 'vino d’erbe', per inserirci nel mercato in crescita dei vini italiani, ma la legge non ce lo consente” racconta Pasquale Vena, presidente e amministratore delegato. “Siamo amaro e amaro restiamo. Secondo una ricetta mai mutata e rimasta ancora oggi segreta. La conosco soltanto io e prima che la consegni ai miei figli, se la dovranno meritare”.

Nel Lucano ci sono 32 erbe, genziana, arancia dolce e arancia amara, aloe, timo, salvia artemisia e tanto altro. Le erbe essiccate vengono miscelate a gruppi scelti e messe in infusione  idroalcolica e passate. Solo alla fine interviene Pasquale Vena con i suoi estratti segreti. Quindi l’amaro riposa sei mesi prima di essere imbottigliato. L’azienda Lucano, così carica di tradizione e artigianalità made in Italy, aveva anche attirato l’interesse della Campari, ma “mio padre ripeteva sempre: una volta che hai venduto, sei finito” sottolinea Vena. E così, anziché cedere al colosso, Lucano ha deciso di crescere da solo, attraverso la spinta sull’export e nuove acquisizioni.

“Due anni fa abbiamo comprato proprio da Campari Limoncetta di Sorrento e Limoncetta crema” ricorda Francesco Vena, Legal Affairs & Compliance. “Due prodotti che rappresentano il made in Italy e che, per dimensioni aziendali, sono i più adatti a crescere in una realtà come la nostra e non all’interno di un colosso del beverage. Oggi Limoncetta, unica prodotta con limone di Sorrento Igp, è al secondo posto di mercato, ma puntiamo con decisione al primo”.

Lucano vende 4 milioni di bottiglie l’anno (di cui uno di Limoncetta) e occupa il 10 per cento del mercato nazionale, che nel suo complesso vale circa 20 milioni di litri l’anno, ed è il quarto marchio italiano dopo Vecchio Amaro del Capo, Montenegro e Averna. “Gli investimenti in marketing rappresentano da sempre una voce importante per la società e anche nell’ultimo piano industriale abbiamo previsto di dedicare alla promozione 10 milioni di euro in tre anni, pari al 10 per cento del fatturato” spiega ancora Francesco Vena. Serviranno a spingere un brand che, progressivamente, dovrà trascinare e aumentare la penetrazione dentro e fuori l’Italia dell’intera gamma dei prodotti aziendali, che oltre a Amaro Lucano e Limoncetta comprende Sambuca, Caffè e i prodotti “7 stelle” selezionati in occasione dei 120 anni dell’azienda. Si tratta di mirto, liquirizia, nocino e un Amaro Lucano con maggiore gradazione alcolica. Una selezione, quest’ultima, destinata alla clientela specializzata delle enoteche, cocktail bar e ristoranti.

“L’obiettivo è spingere sui mercati, portando l’export dal 15 al 25-30 per cento” continua Vena. “Ci stiamo strutturando. Abbiamo trasferito gli uffici (non la produzione) a Milano e riorganizzato la società creando una holding di famiglia, la Lucano Spa, che controlliamo interamente e che detiene il 100 per cento della Lucano srl”. Le radici, non a caso un ingrediente dell’amaro, sono importanti. Non si tagliano. E anche per questo Lucano ha appena inaugurato la sua “bottega” nel cuore di Matera, un omaggio alla città che nel 2019 sarà la capitale europea della cultura. “Sarà un luogo di incontro, di conoscenza e di assaggio gratuito per far conoscere la nostra tradizione e quella del territorio” annuncia Francesco Vena.

Una piccola anticipazione di quello che dovrebbe essere il museo dell’amaro che sarà costruito a Pisticci entro il 2017, a testimoniare una storia che un noto produttore televisivo voleva anche trasformare in fiction. Ci saranno i manifesti disegnati a mano dal fondatore Pasquale Vena, emigrato a Napoli per diventare pasticciere e che poi si è inventato l’amaro nel retrobottega di Pisticci. C’è la collezione di etichette della bottiglia di amaro, dove la “Pacchiana” (donna in abiti tradizionali lucani) è diventata in anno in anno meno prosperosa, come voleva la moda. Ci saranno le lettere di apprezzamento, l’ordinanza con cui la famiglia Savoia dichiara Pasquale Vena fornitore ufficiale della casa reale e i tristi ricordi del periodo fascista e della seconda guerra mondiale, quando gli stabilimenti furono costretti a chiudere, “ufficialmente” per la difficoltà nel reperire le materie prime. Che ne fu allora della ricetta segreta? “Si dice che sfidammo i divieti e che si continuò a produrre piccolissime quantità di amaro per la famiglia” si lascia scappare Pasquale Vena.  E oggi Lucano è un’industria. 

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

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