Kosmos - Università di Pavia

Kosmos, il nuovo museo di storia naturale di Pavia | Foto

Kosmos, il nuovo museo di storia naturale dell'Università di Pavia, nelle foto di Vince Cammarata

Il grande occhio rotondo dell’elefantessa Shanti guarda dalle lontananze del tempo. Nel 1772 il governatore francese di Chandannagar, nel Bengala, la mandava in dono a Luigi XV, suo imperatore. Sopravvissuta a un lungo viaggio per mare e arrivata infine a Versailles, visse come esotica attrazione di corte per nove anni. Morì giovane per un esemplare della sua specie; e con le rivoluzioni che hanno spesso le cose degli uomini, Napoleone volle farne dono a questo museo di Storia naturale che allora - a Pavia, prestigiosa città di recente conquista - radunava un unico, straordinario "inventario dei viventi".

La storia di Shanti potrebbe proseguire a lungo, ma ci piace darne un piccolo condensato perchè oggi lei è la testimonial più illustre del museo Kosmos, appena rinato dalla vecchia collezione di reperti dell’Università pavese. Una raccolta completamente ripensata, organizzata e attualizzata che segna un tappa di novità nella divulgazione scientifica, attraverso zoologia, biologia, genetica.

Basta dunque teche polverose con animali impagliati e inutili tavole con elenchi di nomi; al loro posto, vasti ambienti luminosi, spiegazione con personaggi che parlano in animazione digitale e gli esemplari "tassidermizzati" (le cui pelli originali sono ricomposte su strutture di materiale inalterabile), strategicamente sistemati nelle sale, a esaltare verosimiglianza e bellezza. C’è molto di più, a volte di meglio, rispetto a un documentario del National Geographic.

"La vera differenza rispetto ai tanti musei di Storia naturale, è che abbiamo voluto trasformare la tradizionale, accademica enunciazione in racconto di ìstorie naturali" sintetizza il presidente del sistema museale dell’Ateneo di Pavia, Paolo Mazzarello. Kosmos diventa quindi un esempio di narrazione storica e scientifica, con itinerari accattivanti in cui si alternano immagini, oggetti, reperti, ausili tecnologici.

Nella dozzina di sale all’interno dello storico Palazzo Botta, sono esposti circa 2400 reperti, il meglio di un patrimonio museale che ne conta quasi mezzo milione.

Il percorso inizia dal fondatore dell’istituzione, Lazzaro Spallanzani, che a fine Settecento viaggiava per l’Europa alla ricerca di esemplari, ponendo le basi della zoologia moderna. Come scienziato, poi,  formulò ipotesi sulla generazione spontanea e artificiale. E, per esempio, a partire dalle sue ricerche sulla conservazione, già in epoca napoleonica fu messo a punto il metodo della carne in scatola.

In ogni sala, però, sono gli animali a esercitare l’attrazione: abituati come siamo a vederli su uno schemo, vince la loro consistenza "in tre dimensioni". Oltre agli elefanti, ecco giraffe nubiane, leopardi e moltissime specie di felini, ippopotami e coccodrilli con storie affascinanti, delfini e cetacei, intere gallerie di scheletri di gorilla e scimmie antropomorfe, o un fossile vivente come il grande pesce celacanto catturato nelle acque dell’oceano Indiano.

All’ingresso si ammira un capolavoro di anatomia: un cervo e un cavallo letteralmente scarnificati, con le rispettive muscolature esposte, secondo le tecniche della "miologia". Segue un grandioso esemplare di squalo Mako, cacciato nello Stretto di Messina e acquistato per "42 zecchini" da un entusiasta Spallanzani.

Sfilano quindi in una galleria ideale i protagonisti del pensiero scientifico e dell’esplorazione, in parallelo con le rispettive scoperte. Linneo che con spirito illuminista mette "il mondo in ordine", catalogando le specie. Alexander von Humboldt che si spinge fino ai confini conosciuti del mondo ottocentesco - dal Sudamerica agli Stati Uniti, alla Russia - riportandone animali sconosciuti e prodigiosi ritrovamenti. E ancora: una pattuglia di esploratori italiani ormai quasi parte dimenticati, tra cui spicca Luigi Robecchi Brichetti che a fine Ottocento viaggiò nell’Africa orientale, in particolare tra Etiopia e Somalia. Eccezionali i suoi reperti in esposizione - maschere, monili - custoditi in cassetti che si aprono come scrigni.

Charles Darwin ha un posto privilegiato nell’itinerario. Gli esemplari di uccelli conservati nel museo pavese esemplificano, con le loro variazioni e differenze, la sua teoria dell’evoluzione. Tracciata sulle pareti della sala si segue la rotta del brigantino "Beagle" - dalle Galapagos all’Australia: circumnavigando il globo permise al naturalista di effettuare le sue geniali osservazioni sugli adattamenti delle specie.

Le grandi estinzioni di massa che segnano tappe decisive nella storia del pianeta sono documentate con una struttura elicoidale che alterna modelli, dagli invertebrati ai dinosauri fino all’homo sapiens. A una parete, invece, fa effetto un eccezionale reperto fossile: 79 vertebre e i denti di un gigantesco squalo del Cretaceo, 85 milioni di anni fa, progenitore del grande ´biancoª che oggi vive negli oceani.

Aggiune Paolo Mazzarello: "Nei prossimi anni Kosmos si svilupperà con ulteriori moduli dedicati a grandi personaggi delle scienze che hanno fatto ricerca nell’università di Pavia, come Alessandro Volta e le sue scoperte sull’elettricità o Camillo Golgi, premio Nobel per gli studi sulla cellula".

Uno dei meriti fondamentali del museo è di mettere a proprio agio il visitatore. Da una sala all’altra, non viene "impartita una lezione". C’è una riscoperta, a volte entusiasmante - magari da condividere con i figli - di idee e informazioni rimaste sepolte nella memoria dai tempi della scuola. E ora concretamente ritrovate e osservate.

Si arriva finalmente all’età moderna, con la definizione e il sequenziamento del Dna e agli effetti dell’Antropocene, l’età della Terra in cui è l’uomo stesso - con caccia indiscriminata, inquinamento, distruzione di habitat - ad aver decretato la fine di molte specie. Ecco allora l’espressione stralunata del leone di Barberia: sembra che l’ultimo esemplare di questo felino sia stato ucciso nel 1942.

Panthera leo leo era più piccolo rispetto al cugino delle savane africane. Una sottospecie che i romani andavano a catturare dalla Mauritania alla Tunisia per i loro spettacoli nelle arene. Ed è quello che ha ispirato il veneziano "leone di San Marco". Pù in là, un esemplare di rinoceronte bianco, oggi praticamente estinto in natura: vive ormai in pochi esemplari all’interno di riserve dedicate.

A chiudere il cerchio della contemporaneità si visita la mostra temporaneaPlastica. S.o.s dei mari. Non servono grandi spiegazioni quando in uno spazio semicircolare si vede, appeso al soffitto, lo scheletro lungo 11 metri di una balenottera comune, mentre in un angolo spunta la sagoma di un cetaceo che si sta immergendo: è fatto però con bottigliette di plastica."Abbiamo organizzato percorsi didattici per coinvolgere i più giovani con un approccio a volte ludico ma comunque rigoroso" aggiunge Paolo Mazzarello. "Tra gli obiettivi c’è quello di aumentare la consapevolezza dell’incredibile biodiversità del nostro pianeta forse e dei pericoli che essa corre".

La situazione del mondo animale sul pianeta è drammatica, è sempre bene tenerlo a mente. Forse è concesso di coltivare qualche speranza ascoltando l’ennesima avventura che racconta il museo.

Umberto I di Savoia, indefesso cacciatore di stambecchi, si convinse che forse doveva smettere di sparare a ogni Capra ibex, se non voleva che le sue belle "riserve" di montagna restassero desolatamente vuote. Restavano poche centinaia di capi lungo tutto l’arco alpino. Nacque così il primo nucleo del parco del Gran paradiso, tra Piemonte e Val d’Aosta. Oggi gli stambecchi, cambiamento climatico permettendo, sono tornati a ripopolare le montagne tra Italia, Svizzera e Francia. Così un esemplare morto per cause naturali nel 2017 , tassidermizzato e battezzato Aliciotto, svetta imponente accanto a un suo simile, di taglia più piccola e di aspetto decisamente poco florido, cacciato appunto nell’Ottocento. Un auspicio che il futuro sia più favorevole.

Come a sorvegliare queste meraviglie, in un’alta vetrina, c’è un eccezionale "doppio dente" di due metri di un narvalo: il cetaceo artico che con la sua lancia d’avorio ha ispirato leggende di maree di unicorni.

Il Kosmos di Pavia si scopre anche questo. Ed è un’altra storia ancora da  raccontare.

©Vince Cammarata
Kosmos - Università di Pavia

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Mauro Querci