Tecnologia

Google riconosce lo stato palestinese. Scoppia il caso diplomatico

La tag-line dell'indirizzo Google.ps è cambiata da Palestinian Territories in Palestine. Mentre l'Autorità Palestinese plaude alla scelta di Google, secondo Israele è un errore che interferirà con il processo di pace

Nella giornata di mercoledì, senza bisogno di ricorrere a comunicati e spiegazioni ufficiali, Google ha fatto il suo ingresso nel turbolento scenario della politica internazionale. Un ingresso talmente defilato (e probabilmente involontario) che il mondo se ne è accorto solo nella giornata di venerdì, quando le agenzie di stampa hanno iniziato a diffondere immagini del doodle di Google affiancato dalla tag-line “Palestine”.

Fino a martedì, accedendo all’indirizzo Google.ps, si arrivava a una homepage di Google Search, in cui sotto il doodle Big G spiccava la dicitura “Palestinian Territories”, ossia “Territori Palestinesi.” Sostituendo questa tag-line con il semplice appellativo “Palestina”, Google ha increspato le già inquiete acque del dibattito web, ricevendo i plausi e le invettive di chi ha interpretato quel cambio di nomenclatura come una chiara presa di posizione sul conflitto Israelo-Palestinese.

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L’indignazione di Israele non si è fatta attendere, nella giornata di venerdì il portavoce del ministro degli esteri Yigal Palmor ha stigmatizzato la scelta di Google sostenendo che: “Questa novità fa sorgere domande riguardo le ragioni che stanno dietro questo sorprendente coinvolgimento di quella che è fondamentalmente una compagnia internet privata negli affari della politica internazionale, e optando per una posizione controversa.”

La stessa posizione che hanno scelto altre organizzazioni come la Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN) e la International Standards Organization (posizioni che a detta dello stesso Google, hanno inciso sulla scelta di cambiare il nome in Google Palestine), e che va a inserirsi nel travagliatissimo percorso di riconoscimento dello stato di Palestina che è al centro di un sanguinoso conflitto dal 1948 a oggi.

La mossa di Google va di fatto a inserirsi nel solco tracciato lo scorso novembre dalle Nazioni Unite, quando l’Assemblea Generale ONU ha approvato a maggioranza schiacciante (138 contro 9) il passaggio della Palestina da “non-member observer entity” a “non-member observer state”. Riconoscendo di fatto l’esistenza di uno stato palestinese.

Non è la prima volta che Google si trova al centro di un vespaio geopolitico, a causa dei suoi servizi web. Nel 2010, ad esempio, ha dovuto difendersi da accuse incrociate per aver tracciato in maniera non corretta il confine tra Costa Rica e Nicaragua, e quello tra Thailandia e Cambogia. Questa volta però non si tratta di un errore cartografico, quanto di una (più o meno volontaria) presa di posizione sull’elemento di maggiore criticità per l’equilibrio geo-politico mediorientale (non a caso, alla stigmatizzazione di Israele è seguito il plauso del governo palestinese di Mahmud Abbas, che ha definito la nuova tag-line “un passo nella direzione giusta.”

Lo scorso novembre, appresa la notizia secondo cui l’ONU aveva riconosciuto l’esistenza di uno stato palestinese, il premier Israeliano Netanyahu aveva annunciato di voler installare nuovi insediamenti nei territori occupati. Di fronte al comportamento di Google, per ora il governo di Gerusalemme si limita a bacchettare Google e a invitarlo a fare retromarcia.

La decisione di Google a mio avviso non solo è sbagliata ma potrebbe anche interferire con gli sforzi del mio governo di portare avanti negoziati diretti tra Israele e l’Autorità Palestinese” ha scritto Ze’ev Elkin, ministro degli Esteri israeliano, in una lettera a Larry Page “Vi sarei grato se riconsideraste questa decisione dal momento che potrebbe avere l’effetto di trincerare i Palestinesi nella loro convinzione di poter promuovere i propri obiettivi politici attraverso azioni a senso unico, piuttosto che con accordi e negoziati.

Al momento, però, Google non sembra intenzionato a tornare sui propri passi.

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Fabio Deotto