vaccinazioni covid Lombardia
(E. Cremaschi, Getty Images)
Politica

Il silenzio sulla rivincita della Lombardia

Quando la campagna vaccinale andava male tutti ad attaccare (per questioni politiche). Oggi che ha ripreso a correre (in due giorni 500 mila registrati, fascia 50-59), tutti tacciono

Guardacaso, oggi che la Lombardia è la locomotiva d'Italia in quanto a vaccini, i detrattori sono spariti. Dileguati. Vaccinati gli over 70 e una buona maggioranza degli over 60, in Lombardia si sono registrate 500 mila prenotazioni per gli over 50 in due giorni: un allungo formidabile, ben al di sopra di ogni aspettativa. Siamo addirittura oltre i target fissati dal generale Figliuolo. Non dico assegnare una medaglia al valore, ma forse sarebbe opportuno sottolinearlo. Ma questo, incredibilmente, non fa notizia. Nessuno ne parla. La Lombardia fa parlare di sé solo quando inciampa: se si rialza, e stacca il gruppo, allora meglio voltarsi dall'altra parte.

Ricordate? Quando si trattava di sbattere la regione sul banco degli imputati (e colpe ce ne sono state), si è formata una fila chilometrica di politici, intellettuali, giornalisti e webstar. Tutti insieme appassionatamente a lanciare frecciate contro i lombardi: da Severgnini, a Travaglio, a Lerner, all'immancabile Fedez che tirò dentro pure la nonna nella polemica. Zingaretti si bullava sui giornali di come il Lazio superasse in volata gli amici nordici. E tutto con il medesimo ritornello: Lombardia nel caos, Lombardia lottizzata, Lombardia che perde la sua nomea di regione guida del Paese, Lombardia da commissariare. Ma appena la Lombardia si rimette al passo, chiedendo scusa per i disagi, ecco che cala il silenzio.

Anzi: succede l'imponderabile. La regione, che ha superato di slancio le 120 mila somministrazioni al giorno, oggi è stata addirittura invitata a rallentare. Avete capito bene: rallentare. Altrimenti finirebbero le dosi, e soprattutto faremmo sfigurare le altre regioni. Come dire: andateci piano, a Milano, altrimenti i governatori De Luca ed Emiliano perdono la faccia. Ci troviamo dunque nella situazione paradossale per cui il problema non sono le regioni che hanno truccato i dati e concesso la vaccinazione a categorie tutt'altro che prioritarie. Cioè, il problema non sono le regioni che restano indietro, e che andrebbero esortate a muoversi; no, il problema è che a Milano si vaccina troppo.

Per carità, nessuna Regione può dirsi perfetta: al Nord mancanze ce ne sono state, e pure pesanti. Ma si è rimediato, si è licenziato, si è cambiato l'Assessore alla Sanità. Si è chiesto scusa. Ci si è rimessi brillantemente in carreggiata. Altri non l'hanno fatto, e l'hanno passata liscia. A conti fatti, l'impressione è che certe amministrazioni godano in ogni caso di una certa "copertura" contro ogni malefatta. Certe altre amministrazioni invece meritano la gogna perpetua, e al primo sgarro si monta in fretta e furia il baraccone mediatico. E per spiegare questo strano fenomeno non resta che abbracciare una semplice verità: il covid non è solo un virus respiratorio, ma anche un virus politico. Perché sulla Lombardia questo si è fatto: politica. Ci vengono a dire che dobbiamo essere un Paese unito nella guerra al virus, ma se una regione è politicamente amica, le si perdona tutto: anche gli appalti allegri sulle mascherine. Se invece il nemico svetta sulla classifica delle vaccinazioni, meglio occuparsi d'altro.

E poi ci vengono a raccontare che contano i dati scientifici: figuriamoci. Non saranno mai così importanti come il consenso, e i voti elettorali. Aveva ragione il ministro Speranza quando diceva: "Non si fa politica su un'epidemia". Evidentemente voleva avere l'esclusiva.

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Federico Novella