Birmania, gli scontri etnici tra musulmani e buddhisti - FOTOREPORTAGE
(EPA/STRINGER)
Lifestyle

Birmania, gli scontri etnici tra musulmani e buddhisti - FOTOREPORTAGE

Nello Stato occidentale birmano del Rakhine, al confine con il Bangladesh, l'odio etnico covava già da tempo, finché una scintilla lo ha fatto scoppiare. Le foto e il racconto degli scontri e dell'emergenza profughi

Oggi la crisi sembra parzialmente rientrata, ma per settimane lo Stato occidentale birmano del Rakhine, al confine con il Bangladesh, è stato teatro di violenti scontri etnici tra la comunità buddhista e quella musulmana di etnia Rohingya. A far esplodere una situazione già molto tesa sono stati, il 28 maggio, lo stupro e l'omicidio di una donna buddhista ad opera di un gruppo di tre musulmani e il successivo linciaggio, avvenuto il 3 giugno, a danno di 10 musulmani in viaggio nel Rakhine, aggrediti da un centinaio di buddhisti, secondo cui sul camion assalito erano a bordo gli aguzzini della correligionaria.

Due degli autori dello stupro -  Mamed Rawphi e Khuchi - sono stati condannati ieri alla pena di morte da una corte birmana (il terzo degli accusati, Htet Htet, si è impiccato in carcere prima della sentenza). Avranno una settimana di tempo per presentare ricorso davanti alla Corte Suprema.  Se fossero giustiziati, secondo Amnesty International si tratterebbe delle prime esecuzioni note nel Paese dal 1988.

Secondo il quotidiano New Light of Myanmar, sarebbero almeno 50  le persone morte negli scontri iniziati il 28 maggio - ma si teme che possano avere superato il centinaio -  e 54 i feriti. Si parla di 1600/25oo abitazioni date alle fiamme nell'area di Sittwe, il capoluogo dello stato di Rakhine  Secondo le stime diffuse oggi a Ginevra da una rappresentante del Programma alimentare mondiale (PAM), ci sono inoltre circa 90.000 persone sfollate che hanno bisogno di assistenza a seguito dei recenti scontri. Dal'11 giugno nel Rahkine è in vigore lo stato di emergenza - coprifuoco e poteri speciali assegnati alle forze di sicurezza -  dichiarato dal presidente Thein Sein in un discorso televisivo, per fermare ''la vendetta anarchica senza fine”, che ha portato l'ONU e organizzazioni come Medici Senza Frontiere ad evacuare parzialmente il personale internazionale dalla zona.

La chiusura della zona ai giornalisti stranieri e l'evidente posizione anti-Rohingya dei siti di informazione birmani non permettono di formulare facilmente un resoconto obiettivo delle dinamiche degli scontri e delle responsabilità. Il risentimento reciproco porta i rappresentanti delle due comunità ad attribuire tutti i crimini all'altra parte, scagionando in toto la propria. Anche attraverso i social network, in particolare su Twitter e Facebook, birmani di tutto il Paese - ma anche dall'estero, compresi ex prigionieri politici dell'opposizione democratica - hanno riversano tutto il loro livore verbale sui Rohingya, definiti ''terroristi legati al talebani e al Qaeda'' e ''invasori bengalesi''. In Rete circolano però cruente fotografie di villaggi Rohingya devastati, di persone uccise a colpi di arma da taglio, di folle armate di bastoni e, in alcuni casi, di armi da fuoco.

In questo territorio l'odio etnico covava già da tempo, alimentato da risentimenti secolari. Quella dei Rohingya è una minoranza musulmana di origine mista bengalese-araba, considerata dall'ONU una delle più bistrattate al mondo. Non riconosciuti dalla Birmania, i suoi membri (tra i 750.000 e gli 800.000) non godono nel Paese del diritto di cittadinanza, subiscono restrizioni alla libertà di movimento e di contrarre matrimonio. Nonostante molti di loro abitino quelle terre da alcuni secoli - vi si sono stabiliti come forza lavoro nel periodo della colonizzazione britannica, diventando maggioranza per il loro alto tasso di natalità  - sono a tutt'oggi considerati immigrati illegali bengalesi, sono mal tollerati e vivono in estrema povertà. Tale decennale politica statale di discriminazione nei loro confronti ha nutrito la loro frustrazione e le divisioni rispetto ai buddhisti, qui in minoranza, che per contro denunciando la mancanza di sicurezza e il timore di essere cacciati dal territorio.  Quando provano a emigrare, spesso in viaggi della speranza via mare, i Rohingya incontrano ulteriori resistenze. Nello stesso Bangladesh, dove ne vivono 200.000, sono considerati cittadini di seconda classe. Tre anni fa emerse che centinaia di loro in fuga, intercettati dall'esercito thailandese, furono rispediti in mare a bordo di zattere, con le mani legate.

Come vediamo in diverse fotografie di questo fororeportage, anche in queste settimane la polizia di frontiera del Bangladesh ha respinto numerose imbarcazioni provenienti dalla Birmania con a bordo donne, bambini e alcuni feriti che cercavano di fuggire dalla Birmania attraverso il fiume Nar, nonostante organizzazioni come Human Rights Watch avessero esortato il Bangladesh ad accogliere i profughi. Alla condanna delle organizzazioni per i diritti umani si è aggiunta quella dell'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (UNHCR), che sta monitorando la frontiera tra i due Paesi. Ancora ieri 7 imbarcazioni con a bordo 128 persone sono state fermate dalle autorità di confine.

La leader storica dell'opposizione birmana, Aung San Suu Kyi, nelle diverse tappe del suo primo viaggio all'estero dopo 25 anni, ha espresso forte preoccupazione per la situazione, affermando chiaramente che solo la supremazia della legge e lo stato di diritto potranno porre fine alle lotte comunitarie.

I più letti

avatar-icon

Photo Department