Y Combinator, il venture capitalist darwiniano
Economia

Y Combinator, il venture capitalist darwiniano

Il programma trimestrale fornisce risorse, suggerimenti e l’occasione per presentare l’idea direttamente ai finanziatori

Y Combinator è come l’Ikea: un’idea semplice ed efficace. Chiunque, infatti, avrebbe potuto inventare i mobili-lego, ma solo Ingvar Kamprad l’ha fatto, diventando il sesto uomo più ricco del mondo. Allo stesso modo, tutti avrebbero potuto inventare un contenitore-serra dove sviluppare idee digitali e favorire l’incontro fra hackers e investitori, ma solo Paul Graham e soci l’hanno fatto. Il risultato è, appunto, la fabbrica delle start-up Y Combinator . A oggi, contando solo le principali 21 aziende a cui ha contribuito a dare vita, Y Combinator ha generato un valore di mercato di 4,7 miliardi di dollari.

Airbnb, Dropbox, Scribd sono solo alcune delle 316 aziende che sono nate grazie al programma trimestrale partito nel 2005 che prende il suo nome dal linguaggio della programmazione. La mente e l’anima di quello che Wired ha etichettato come il campo di addestramento per le start up è Paul Graham. Classe 1964, un dottorato in filosofia in tasca, autore insieme a Robert Morris (che l’ha seguito nell’avventura di Y Combinator) di Viaweb, un’applicazione nata nel 1995 che permette di creare negozi digitali. Nel 1998 è stata acquisita per 455mila azioni, pari a 49,6 milioni di dollari, da Yahoo! che l’ha trasformata poi in Yahoo! Stores.

Ma sono passati altri sette anni di riflessione sulle dinamiche della vita digitale e sul mercato, pubblicate sul suo sito robertgraham.com prima di arrivare alla conferenza ospitata dall’Harvard Computer Society su come dare vita a una start-up. Da lì, la scintilla: contribuire a finanziare il lancio delle start up, fornendo fondi, suggerimenti e contatti ai giovani smanettoni che hanno l’idea o l’affiatamento (Y Combinator valuta anche le potenzialità di un team) per svilupparne una. In media, Y Combinator fornisce 18mila dollari a ogni start up, a seconda del numero di fondatori. In cambio, chiede il 7% del valore della nuova società.

Il programma di selezione è severo e digitale. Delle migliaia di proposte inviate, solo il 6% arriva a presentare direttamente ai partner di Y Combinator, in una session della durata di dieci minuti. Da qui, emerge il 3% del “lotto” (l’azienda lo chiama proprio così) di ideatori ammesi al programma trimestrale a Mountain View che dà la possibilità di mettere a punto l’idea attingendo all’esperienza dei partner di Y Combinator e, soprattutto, di renderla appetibile al mercato degli investitori.

Y Combinator, infatti, facilita l’incontro fra la domanda e l’offerta, il tutto condito da un pizzico di darwiniano incentivo alla sopravvivenza dei più adattabili. Sì, perchè, quando si tratta di trovare i finanziatori per un’idea che ha preso la forma di un business plan, Y Combinator dà i propri giovani fondatori direttamente in pasto agli investitori nel corso di un evento - chiamato Demo Day - in cui ogni founder gioca la propria partita presentando la propria idea a chi le potrà dare le ali per sfidare il mercato.  

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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