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MANDEL NGAN/AFP/Getty Images
Economia

Vietnam e Myanmar, i vantaggi economici per gli Stati Uniti

Come la revoca dell'embargo e di una serie di sanzioni potrebbero aiutare l'economia americana

Prima c'è stata la Trans-Pacific Partnership, poi la revoca di alcune delle sanzioni contro il Myanmar, ora quella dell'embargo sulla vendita di armamenti al Vietnam. Gli Stati Uniti sono sempre più presenti in Asia, sul piano strategico ma, soprattutto, su quello economico. E prima di ritrovarsi completamente esclusa dai giochi l'Europa farebbe bene a seguire il suo esempio.

Pochi ricordano che in un ormai lontano novembre del 2014 il Presidente statunitense Barack Obama annunciò la ferma determinazione americana a cancellare tante delle sanzioni approvate nei confronti delle nazioni del Sudest asiatico qualora queste ultime avessero dimostrato di essere pronte ad adottare una serie di riforme sul piano sia politico che economico. E almeno per quel che riguarda il Myanmar, la vittoria del fronte democratico ha permesso a Washington di ufficializzare una sorta di nuova distensione con il paese.

Cosa è cambiato in Asia

Questa settimana sette aziende di stato e tre banche birmane sono state escluse da una "lista nera" che di fatto impediva a qualunque operatore americano di relazionarsi con loro. Washington ha anche decido di liberalizzare gli investimenti verso il Myanmar, di smettere di applicare controlli speciali alle transazioni finanziarie che coinvolgono anche la Birmania, e ha concesso alle aziende americane di far transitare le proprie merci da porti e aeroporti nazionali, pur sapendo che i due scali principali sono controllati da Steven Law, il figlio di Lo Hsing Han, il "padrino della droga" come è conosciuto oltre Oceano per il suo business milionario nel Triangolo d'Oro (Birmania, Laos, Thailandia). Infine, le regole per la permanenza degli operatori americani nel paese sono state significativamente snellite.

Per quel che riguarda il Vietnam, invece, la cancellazione dell'embargo implica non solo un rafforzamento della propria posizione strategica nel Sudest asiatico, ma anche la possibilità di beneficiare di una parte dei profitti di un commercio, quello degli armamenti, appunto, che negli ultimi 5 anni è cresciuto del 699 per cento e che per il 90 per cento è stato appannaggio esclusivo di Mosca.

I vantaggi della scelta americana

Se per i grandi colossi della difesa americana i vantaggi di mettere le mani su un business in rapida espansione il cui valore già dodici mesi fa superava i 4 milioni di dollari sono piuttosto scontati, il Myanmar rappresenta una grande opportunità per tutte quelle aziende che cercano un'alternativa alla Cina che possa essere stabile, facilmente accessibile, e allo stesso tempo garantire un costo del lavoro molto basso.

Non solo, il Myanmar è ancora tutto da costruire, quindi è un terreno ideale per piazzare investimenti in grado di garantire profitti molto elevati un po' in tutti i settori, dall’agricoltura alla manifattura, dalle infrastrutture alle nuove tecnologie.

Secondo un rapporto pubblicato da McKinsey Global Institute, se nel 2010 l'economia birmana valeva sì e no 45 miliardi di dollari, nel 2030 dovrebbe arrivare a quita 300. Ed è evidente che chi arriverà prima potrà avere maggiori opportunità.

Cosa dovrebbe fare l’Europa

Se è vero che il Myanmar ha bisogno di risorse, know how, capacità, tecnologie e sostegno di varia natura per andare avanti sulla strada delle riforme e dello sviluppo, è anche vero, come è appena stato ricordato, che chi arriverà prima nel paese riuscirà a sfruttare meglio le opportunità che questo può offrire. Ecco perché l'Europa deve decidere in fretta se fare altrettanto o no. O meglio, l'Europa aveva già cancellato una parte delle sanzioni contro il Myanmar nel 2012, ma questa scelta non ha prodotto una crescita esponenziale di commercio e investimenti verso il paese, essenzialmente perché quest'ultimo ha continuato a non essere considerato sufficientemente stabile e trasparente dalla maggior parte degli operatori del Vecchio Continente. Ora, però, per evitare di rimanere tagliata fuori, Bruxelles dovrebbe cambiare approccio. E, possibilmente, dovrebbe farlo con urgenza.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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