Un anno di Monti: l'analisi economica
Economia

Un anno di Monti: l'analisi economica

Promosso per: riduzione dello spread, riforma del lavoro, agenda digitale e piano per l'energia. Bocciato per: esodati, spending review, privatizzazioni mancate - Lo speciale

Un titolo di merito indiscutibile: la credibilità internazionale. Un'altrettanto innegabile pecca: la teoricità degli interventi. Dovrebbe iniziare così qualunque “giudizio di sintesi” sul primo anno del governo Monti (primo e unico, in questa legislatura ormai al termine).

La credibilità. Mario Monti è stato salutato con sollievo dai partner europei, e innanzitutto dalla Germania, perchè nei dieci anni di militanza come commissario a Bruxelles, soprattutto durante l'esercizio della delega per il mercato interno e la concorrenza, aveva meritato la stima di tutti, non solo dei leader politici ma anche della “tecnostruttura”. Quest'italiano atipico, che anche i più altezzosi e prevenuti tra gli stranieri non potevano non “prendere sul serio”, ha saputo usare i toni giusti sin dal primo giorno, nel dialogare con le istituzioni europee, ed ha saputo scegliere come suoi più diretti collaboratori in quelle sedi due personaggi – il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Santagata ed il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi – altrettanto stimati.

La teoricità. A inchiodare Monti & C. al loro principale limite, la teoricità della gestione esecutiva del governo, non è stato Grillo, o Vendola, o un movimento “Occupy”, ma l'istituzionalissimo Il Sole 24 Ore, che ha misurato come dall'inizio della sua attività l'esecutivo non sia ancora riuscito a rendere operative l'89% delle nuove norme varate. Un tasso di inefficienza spaventoso, che non si può giustificare solo con il peso e le lungaggini delle procedure legislative e burocratiche dei ministeri (anche) ma proprio con una matrice eccessivamente teorica delle norme stesse, che è emersa con evidenza in troppi casi, e con l'incapacità operativa di far lavorare diversamente i ministeri stessi.

Gli errori.
1)    Il più grave, il più incredibile, quello per il quale ci ride indietro mezza Europa: la faccenda degli esodati. Promulgare la riforma-chiave per la finanza pubblica, quella delle pensioni, unica strutturale nel quadro degli interventi economici, senza rendersi conto di star “lasciando a piedi” decine e decine di migliaia di persone (sono, ormai si sa, ben 350 mila) è un errore da dimissioni, chiunque l'abbia commesso.

2)    La spending review : annunciata in pompa magna ha partorito finora dei topolini, per l'incapacità – o la rinuncia politica – a intaccare direttamente i centri di spesa senza controllo disseminati sul territorio e, insieme, a ricondurre forzosamente entro parametri stringenti di azione le amministrazioni centrali dello Stato. Si sta risparmiando troppo poco, la spesa pubblica improduttiva è ancora folle, e non ce la possiamo più permettere.

3)    Le privatizzazioni: dovevano essere un punto qualificante del programma, si sono rivelate, ad oggi, un nulla. E la politica cautissima del ministro Grilli soprattutto sul fronte immobiliare ha sorpreso e deluso un po' tutti. Si potrebbero enumerare tanti altri piccoli o grandi errori, che hanno quasi sempre trovato rimedio – dal taglio a sussidi per i malati di Sla agli orari dei professori, prima allungati e poi non più – ma sono più gaffe che errori. Chi non ne fa. Certo, dai tecnici ci si poteva aspettare di più. Ma non sempre i tecnici funzionano bene, in ruoli politici. Una lezione da capire e imparare.

I meriti.
1)    Il primo, indiscutibile, essenziale: aver mosso tutte le leve necessarie, per dolorose che fossero – l'Imu, l'Iva, le accise – per riequilibrare i flussi della finanza pubblica e permettere la riduzione del super-spread che un anno fa divorava la capacità di generazione di cassa del bilancio pubbico. È stato, forse, soltanto un modo diligente per “obbedire” ai dettami europei: ma tanto è questa la condizione obbligata in cui i patti dell'Unione ci pongono, e quindi l'alternativa si chiama con un solo nome: Grecia.

2)    Lariforma del lavoro: piena di errori anche questa, scritta – visibilmente – da un ministro tecnico come la Fornero - che non aveva mai vissuto da vicino la vita delle imprese, eppure valida perchè moralizza un po', pur causando per questo degli effetti paradossi di riluttanza alle assunzioni, l'eccessiva flessibilità in entrate di prima e ridimensiona per la prima volta il tabù della non-licenziabilità, il famigerato “articolo 18”. Miglior riprova, gli opposti mal di pancia di imprenditori e sindacati: in questo campo, molti nemici molto onore.

3)    L'agenda digitale: sarà più che altro una dichiarazione d'intenti, ma in realtà fissa una serie di norme e criteri che dovrebbero veramente permettere al Paese di chiudere un altro gravissimo spread con l'estero, appunto la digitalizzazione.

4)    Il piano nazionale per l'energia: altra storica lacuna colmata dal governo, che ha bonificato la giungla dei contributi alle rinnovabili, facendo infuriare le imprese che avevano scommesso su una infinita rendita di posizione, e ha posto le premesse per un recupero di capacità di approvvigionamento e ricerca...

Non è possibile tradurre tutto questo in un voto, secco, di promozione o bocciatura: perchè non esiste un parametro significativo in base al quale esprimerlo. L'unico parametro ammesso, che dovrebbe essere quello della sintonia dell'operare governativo con la linea dell'Unione europea – e in base al quale Monti e il suo governo andrebbero promossi a pieni voti – è infatti un termometro rotto, perchè mentre l'Italia s'affanna nei suoi problemi per contrastare la crisi e tener dietro ai diktat comunitari, perfino la nazione guida dell'Ue, cioè la Germania, avverte su se stessa i morsi della medesima crisi e sembra incapace di seguire o almeno individuare una strategia sensata per uscirne.

Oggi, insomma, l'Unione europea appare come una classe di allievi insufficienti, se non addirittura da bocciare, dove però in cattedra siede un docente privo di legittimità. E forse più asino dei suoi stessi allievi.

I più letti

avatar-icon

Sergio Luciano