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Economia

UE e Giappone uniti contro i dazi

Un accordo commerciale di portata storica per bloccare il protezionismo di Washington. E ora l'obiettivo è coinvolgere Pechino

Unione Europea e Giappone hanno firmato un accordo commerciale dalla portata storica. Il Giappone si è impegnato ad eliminare i dazi sul 94% di tutte le importazioni provenienti dall'Europa, Bruxelles farà la stessa cosa per il 99% delle merci che arrivano dal Sol Levante. Tokyo ha alleggerito il peso dei dazi soprattutto per prodotti ittici e agricoli, il che vuol dire diventerà presto più conveniente per i giapponesi acquistare beni come vino, i formaggi o carne di maiale. Bruxelles, invece, ha promesso maggiore apertura anche sul mercato automobilistico che su quello degli apparecchi televisivi, anche se per trovare un compromesso in questi due settori resta ancora molta strada da fare.

Il peso economico dell'accordo

L'accordo di libero scambio appena firmato a Tokyo è il risultato di 4 anni di trattative, ed è possibile che anche l'offensiva protezionista dalla presidenza di Donald Trump abbia contribuito a spingere i due interlocutori verso una soluzione di compromesso. Del resto, la nota emessa da Tokyo dopo la firma ha messo ben in evidenza come l'accordo rappresenti una presa di posizione forte contro visioni più protezioniste del commercio internazionale, e conferma l'impegno delle due parti di chiudere i negoziati entro la fine dell'anno per poter ratificare l'accordo e permetterne l'entrata in vigore entro marzo 2019. 

Il Giappone rappresenta il secondo partner commerciale dell'UE in Asia. L'export dell'Unione Europea verso il Giappone rappresenta un giro d'affari di 58 miliardi di euro di beni e oltre 28 miliardi in servizi. Più di 600mila posti di lavoro all'interno dell'Unione sono legati proprio al mercato delle esportazioni verso il Sol Levante. Con il Jefta verranno eliminati dazi per un totale di circa un miliardo di euro l'anno.

L'anima geopolitica dell'accordo

Secondo Giovanni di Lieto, docente di diritto commerciale internazionale alla Business School della Monash University di Melbourne, in Australia, il Japan-EU Free Trade Agreement serve principalmente "a mettere pressione politica agli Stati Uniti e negoziale al Regno Unito, ma soprattutto per il forte desiderio di Tokyo di affrancarsi dall'eccessiva dipendenza commerciale da Pechino e Washington" in una fase storica in cui entrambi i paesi hanno abbracciato strategie politiche ed economiche sempre meno lineari e prevedibili.

"Dal punto di vista geopolitico", continua Di Lieto, "il Jefta conferma il salto di qualità di Tokyo nella leadership per la difesa dell'ordine liberale internazionale, un ruolo da cui tradizionalmente il Giappone è sempre rifuggito. La UE si è prestata alla spinta giapponese come gli altri paesi del Pacifico nel caso del rinato Tpp, ma nel solco degli ultimi trattati della UE che badano più a quantità che qualità".

Un bilancio in chiaroscuro

Come sempre succede, quelli che al grande pubblico vengono presentati come risultati straordinari, vengono letti con una prospettiva più sfumata dagli esperti. Di Lieto, infatti, ammette che "dal punto di vista commerciale il Jefta manca di ambizione e non ha armonizzato aree controverse ed emergenti, in particolare il cosiddetto free flow of data, che è stato lasciato vagamente a degli adequacy agreement facoltativi e unilaterali. Questo significa che i server di dati rimarranno di dominio locale, continuando quindi ad impedire un effettivo sviluppo eurogiapponese del settore dei servizi e IT".

Un buon punto di partenza

Insomma, Tokyo e Bruxelles avrebbero potuto ottenere di più ma il Jefta resta un buon punto di partenza non solo come controffensiva alla linea dura di Trump, ma anche per creare uno spazio di intesa in cui coinvolgere anche la Cina. Ancora prima di arrivare a Tokyo il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, era passato da Pechino per passare al Premier cinese Li Keqiang un messaggio di apertura e collaborazione. "E' nostro dovere non distruggere questo ordine e non avviare guerre commerciali che sono spesso sfociate in conflitti, ma coraggiosamente e responsabilmente riformare l'ordine globale fondato sulle regole", ha sottolineato Tusk, invitando i cinesi a cominciare insieme un processo di riforma del Wto, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, che vada verso il multilateralismo e la costruzione di un'economia globale più aperta ma anche più equa per tutti.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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