Tre motivi per cui l'economia europea non è come quella giapponese
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Economia

Tre motivi per cui l'economia europea non è come quella giapponese

L'economista Nouriel Rubini ha parlato di Draghinomics: Mario Draghi e la Bce starebbero seguendo la strada dell'Abenomics giapponese. Ma le differenze sono molte e significative

"L’eurozona non è come il Giappone. Nè lo sarà". È questo uno dei concetti reiterati più volte dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Eppure, per uscire dalle sabbie mobili, ha lanciato un programma molto simile a quello presentato da Shinzō Abe, primo ministro nipponico, l’anno scorso, che ha preso il nome di Abenomics. Secondo l’economista rockstar Nouriel Roubini bisogna parlare apertamente di Draghinomics, la nuova via macroeconomica aperta da Draghi. Ma le differenze erano, sono e saranno ancora molte.

LA DRAGHINOMICS
Nel weekend del Workshop Ambrosetti di Cernobbio, Roubini ha fatto parlare di sé per aver portato all’attenzione del grande pubblico la Draghinomics. Termine subito ripreso dal Financial Times e dal Wall Street Journal. A onor del vero, tuttavia, il primo a parlare di Draghinomics non è stato Roubini. È stato, nel gennaio di quest’anno, George Magnus, storico capo economista di UBS. Magnus distingueva la politica monetaria dell’area euro da quella nipponica specialmente per due fattori. Il primo, è che di fronte al crescente rischio di convertibilità dell’euro, la priorità della Bce era ripristinare un livello base di stabilità finanziaria. E questo non significa stimolare la crescita economica, bensì fare il lavoro di pulizia. Pulizia delle regole, pulizia dei bilanci, pulizia dei rischi inutili. Secondo, Draghi doveva riguadagnare la credibilità dell’istituzione che controllava. Dopo anni di risposte mediate, diplomatiche e lente, la Bce doveva dimostrare di essere matura, di fronte agli investitori internazionali. Obiettivo di ciò? Garantire un nuovo flusso di investimenti.

La storia ci ha mostrato che entrambe le frecce sono state scoccate in modo positivo. Eppure, non è bastato. A fronte delle lacune politiche, Draghi è stato costretto a fare di più. Come? Prima, adottando una serie di indicazioni prospettiche (forward guidance) tale da convincere gli operatori finanziari che, in qualunque caso, la Bce avrebbe fatto di tutto per salvare l’euro. Poi, ha ricordato al mondo finanziario che la Bce avrebbe fornito una stampella di liquidità per le banche dell’area euro, tramite le operazioni di rifinanziamento a lungo temine (Targeted longer-term refinancing operation o Tltro). Infine, con l’ultima riunione del Consiglio direttivo, Draghi ha giocato il suo asso nella manica: tassi d’interessi a livello zero (o negativo, nel caso dei depositi) e acquisto di asset privati. I mercati finanziari hanno festeggiato, la stampa pure, e gli economisti sono euforici. Talmente tanto da coniare un nuovo modello economico.

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MA L'EUROPA NON È IL GIAPPONE
Eppure, Roubini sbaglia ad affermare che la Draghinomics è la versione europea dell’Abenomics. E i motivi non sono pochi.

- Il primo, più semplice e più dottrinale, è che la Bce non ha (ancora?) una propria versione del Quantitative easing (Qe) in salsa americana. Non comprerà titoli di Stato, bensì titoli privati, quali covered bond, Asset-backed security (Abs) e Residential mortgage backed security (Rmbs). Non si conoscono l’ammontare definitivo, ma le indiscrezioni parlano di cifre fra i 500 e i 1.000 miliardi di euro. Per fare un paragone, nel 2013 il Giappone ha deciso di allargare la base monetaria da 135.000 miliardi di yen a 270.000 miliardi nel 2014, ovvero da 1.430 miliardi di dollari a 2.860 miliardi. Il tutto tramite acquisti di bond governativi a lungo termine per circa 60-70 miliardi di yen per ogni anno fino al 2014, 455 miliardi di euro al cambio attuale.

- Inoltre Draghi, a differenza di Abe, non è un politico. È un banchiere centrale che, solo nell’ultimo periodo, ha iniziato a parlare come un politico. Il grosso del lavoro - riforme strutturali, piani per la crescita, strumenti nazionali di gestione delle crisi - spetta ai governi. "La Bce non può sostituirsi ai governi", è solito dire Draghi. E ha ragione. A differenza del Giappone, l’eurozona è appesa a Draghi per via delle lacune degli esecutivi. Ma le stampelle della Bce non saranno eterne. L’influenza dell’ex governatore della Banca d’Italia potrà anche essere elevata, ma questo poco conta se poi non si trova un seguito nella politica fiscale dei singoli Stati membri.

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- Infine, le tre frecce nell’arco di Abe - allargamento della base monetaria, investimenti strategici a pioggia, un piano per la crescita economica - non sono applicabili all’eurozona. O meglio, in teoria sì, ma in pratica no. Per allargare la base monetaria, Draghi dovrebbe rivoluzionare la Bce, attirandosi le ire di Berlino e non solo. E sarebbe comunque un processo troppo lungo per ovviare ai problemi di oggi. Per gli investimenti strategici, sempre in teoria, ci sarebbe il piano messo a punto dal presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. Ma a distanza di un anno e oltre dalla sua presentazione, il silenzio regna sovrano su questo fronte. Rimane il piano per la crescita economica. Facile da adottare per il Giappone, ma come la mettiamo con l’eurozona? Ci sono 18 Stati membri, 18 economie, 18 interessi particolari differenti e una scarsa condivisione dei problemi (frutto di un meccanismo do ut des del tutto squilibrato verso il centro dell’area euro).

La prova di quest’ultima attitudine è data dalla difficoltà di discussione intorno alla fiscal stance aggregata, introdotta da Draghi durante il simposio di Jackson Hole, per la quale uno Stato che ha un bilancio con margini di espansione dovrebbe aiutare quelli che questo spazio non hanno.

Se i rischi della Abenomics sono molti, quelli della Bce sono ancora più elevati. Con l’acquisto di Abs, covered bond e Rmbs, la Bce fornirà l’ennesima prova che - qualora le cose vadano per il peggio - lei ci sarà, tramite la Draghinomics. Un segnale positivo, se si guardano i mercati. Un azzardo morale senza precedenti, se si guardano i governi.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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