Torna a crescere l'inflazione. Ancora in aumento i beni energetici
Ad aprile l'Istat riporta un aumento dell'8,2% su base annua rispetto al 7,6% del mese precedente. Un'accelerazione che, tuttavia, potrebbe portare a un trend, stimato anche dalla Commissione Ue, di normalizzazione dei prezzi nei prossimi mesi
L’inflazione continua a rimanere alta e a riservare spiacevoli sorprese su base mensile. Sarebbe facile vedere il bicchiere mezzo vuoto, ma osservando i dati e le proiezioni si può essere ottimisti per il futuro, se non ci saranno ulteriori shock. Ma andiamo con ordine partendo dagli ultimi dati Istat mensili che mostrano come ad aprile l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato un aumento dello 0,4%, su base mensile e dell’8,2% su base annua dal 7,6% del mese precedente. Un'accelerazione dell’inflazione dovuta per la maggior parte all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati, passati dal +18,9% al +26,6% e in quota minore anche quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona che hanno sono passati da un +6,3% ad un +6,9%. Effetti, sottolinea l’Istat, che solo in parte sono stati compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli energetici regolamentati passati da un -20,3% ad un -26,7% e dal rallentamento di quelli degli alimentari lavorati (da +15,3% a +14,0%), non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e ai trasporti (da +6,3% a +6,0%). Se poi si osserva l’inflazione di fondo (indice depurato da prodotti come quelli alimentari, energetici e dal paniere di beni e servizi) si può notare un leggero rallentamento visto che questa passa da un +6,3% ad un +6,2%. Guardando nel complesso i dati dell’inflazione a partire dal 2022 si può notare come nel 2023, nonostante questa continui a rimanere alta, sta lentamente scendendo. Secondo Confcommercio, in assenza di ulteriori shock, il tendenziale dell’inflazione potrebbe tornare sotto il 6% già ad agosto e scendere sotto il 3% a ottobre, per finire sotto il 2,5% nella media del prossimo anno. Alcuni prezzi scenderanno in livello assoluto, come già ad aprile si è visto per la verdura, le uova, i prodotti tecnologici e alcuni servizi.
Il trend verso la normalizzazione è stimato anche dalla Commissione Ue nonostante gli ultimi aggiustamenti messi a punto che fissano, per l’area euro, l’asticella al 5,8% nel 2023 e al 2,8% nel 2024. Rispettivamente dello 0,2% e dello 0,3% in più rispetto a questo inverno. Se infatti si analizza la sua storia si può osservare come dopo il picco del 2022 l'inflazione complessiva ha continuato a diminuire nel primo trimestre del 2023 in presenza di una forte decelerazione dei prezzi dei beni energetici. Certo si sta rivelando essere più persistente di quanto si potesse immaginare ma l’inflazione di fondo dopo aver raggiunto il suo picco a marzo (+7,6%) si prevede, secondo le proiezioni, che diminuirà gradualmente man mano che i margini di profitto assorbiranno le maggiori pressioni salariali e che si inaspriranno le condizioni di finanziamento. La stima flash di aprile della Commissione Ue dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo per la zona euro, indica infatti un calo marginale del tasso di inflazione di fondo, lasciando dunque presagire che questa potrebbe aver raggiunto il massimo nel primo trimestre. Su base annua l'inflazione di fondo nella zona euro dovrebbe quindi attestarsi in media al 6,1% nel 2023, per poi scendere al 3,2% nel 2024.
Previsioni di discesa che però non posso nascondere gli attuali livelli alti di inflazione che portano come conseguenza l’inasprimento delle condizioni di finanziamento. Un'inflazione di fondo persistente potrebbe incidere sul potere d'acquisto delle famiglie e determinare una risposta più incisiva della politica monetaria, con ampie ramificazioni macrofinanziarie. Nel 2022 le famiglie, specialmente quelle italiane, hanno fatto fronte all’aumento dei prezzi erodendo i loro risparmi e dunque continuando a comprare beni e servizi. Ma il risparmio sta esaurendo il sostegno ai consumi e incidendo su una possibile ripresa. E dunque, una politica monetaria meno aggressiva potrebbe dare respiro alle imprese e alle famiglie, alimentando indubbiamente l’inflazione, mentre mantenere la stretta finanziaria potrebbe portare ad un ulteriore aumento dell’avversione al rischio, determinando un irrigidimento dei criteri per la concessione dei prestiti più pronunciato di quanto ipotizzato nelle previsioni. Una situazione di facile risoluzione che un’inflazione più resistente di quanto si pensasse sta esasperando.