Google, giù gli utili e crollo in borsa. Ecco le ragioni
Economia

Google, giù gli utili e crollo in borsa. Ecco le ragioni

Le azioni del celebre motore di ricerca hanno chiuso la seduta di ieri con un calo dell'8% dopo aver ceduto fino al 10,5%. Gli analisti sono rimasti delusi dai risultati dell'ultima trimestrale, su cui pesano le prestazioni dell'advertising su telefonini e tavolette. Un problema che, peraltro, accomuna Mountain View a Facebook

Dire che anche i colossi piangono sarebbe eccessivo, ma è innegabile che in casa Google, in queste ore, si stia registrando più di qualche scricchiolio. Vero è che l’ultima trimestrale è stata chiusa con un utile netto pari a 2,18 miliardi di dollari, una cifra certamente monstre. Ma vero è anche che l’anno scorso, di questi tempi, si viaggiava su quote più incoraggianti: 2,73 miliardi di dollari, il 20 per cento in più. Lasciare, oggi, un quinto della propria potenza di fuoco per strada non può non essere un campanello d’allarme, non può non suggerire che qualche elemento da registrare c’è eccome. Anche perché la cosa ha spiazzato tutti, a partire dagli analisti che si aspettavano un utile per azione di 10,65 dollari e invece hanno dovuto prendere atto dei 9,03 dollari effettivi.

La borsa non ha reagito bene alla notizia, anzi ha reagito proprio male. Nella seduta di ieri il titolo è arrivato a cedere fino al 10,5 per cento del suo valore, è stato sospeso per due ore e ha rintuzzato le perdite solo sul finale, facendo registrare un meno 8,01 per cento che non è certamente un dato da festeggiare, anzi. Sullo sfondo, peraltro, si è consumato anche un pasticciaccio brutto: le performance dell’ultimo trimestre sono state diffuse in anticipo rispetto al previsto dalla R.R. Donnelly una società specializzata nella stampa dei risultati finanziari. Il fatto che si trattasse ancora di una bozza è stato confermato dal fatto che, in un punto, si leggeva: «Pending Page Quote». Ovvero bisognava ancora inserire il commento di Larry Page, l’amministratore delegato della società.

Ora, al di là della polemica che si è sollevata sull’uscita anticipata della notizia a seduta aperta, elemento che ha spiazzato e non poco il mercato, che di riflesso ha reagito nervosamente, bisogna capire cosa si nasconde dietro i numeri e se potranno o meno scatenare un’onda lunga con cui Mountain View dovrà fare i conti. A un primo sguardo molto sembra dipendere dall'investimento per l’acquisizione di Motorola, comprata da Google per prodursi in casa l’hardware, telefoni e tavolette, accanto al software. Ma come scrive il Wall Street Journal, al netto di questa acquisizione, i guadagni della società del famoso motore di ricerca stanno rallentando. Ed è il quarto trimestre consecutivo che succede. Insomma, la macchina non smette di accelerare, ma nella corsa perde anche qualche colpo.

La vera ragione va dunque ricercata altrove. E chiama in causa la gallina dalle uova d’oro per Google, il servizio che le consente di generare i maggiori profitti: la pubblicità. Se sul fronte desktop tutto sembra filare per il meglio, la stessa cosa non si può dire sui dispositivi mobili. E la riprova sta nel fatto - riferiscono gli analisti del Susquehanna International Group interpellati in proposito da Bloomberg Businessweek - che le inserzioni sui telefonini possano arrivare a costare fino al 40 per cento in meno rispetto a quelli sui computer (e del 25 per cento in meno rispetto ai tablet). Di riflesso, non danno i risultati sperati. Ciò perché i consumatori, banalmente, stanno cominciando a bypassare Google per le loro ricerche e arrivano direttamente a destinazione.

Per chiarire il punto, facciamo un esempio pratico: soprattutto in mobilità, se un utente ha intenzione di acquistare un qualsiasi prodotto, non va a informarsi sul motore di ricerca e da lì raggiunge il sito finale cliccando su un link sponsorizzato, ma va direttamente su Amazon, il colosso mondiale dell’e-commerce. Se ha bisogno di un consiglio per un ristorante o per un albergo, non apre nemmeno il browser di internet, ma consulta subito la app di Tripadvisor e affini. Insomma, se vogliamo, è un consumatore più smaliziato, che sa dove andare a reperire le informazioni che gli occorrono, saltando il passaggio di Google. Che vive grazie ai clic, visto che la pubblicità è il suo ossigeno principale. Chiaro che non occorre estremizzare il ragionamento, ma si tratta comunque di registrare un’evoluzione nei comportamenti che ha, poi, una ricaduta di carattere economico.

E forse, a voler essere un po’ maliziosi, è in questo senso che si può leggere il commento di Page alla trimestrale. L’amministratore delegato si è detto «davvero eccitato circa i progressi che stiamo facendo nel creare una semplice, splendida e intuitiva esperienza di Google attraverso tutti i dispositivi», quasi a rimarcare il fatto che la sua azienda sia ben intenzionata a presidiare al meglio tutti i segmenti. La scarsa monetizzazione della pubblicità su smartphone e affini si sta peraltro rivelando una bestia un po' irrequieta per le big company del web. La stessa Facebook, prima della quotazione in borsa, aveva rassicurato gli investitori circa la sua capacità di generare nell’immediato ampi profitti dalla pubblicità sul mobile. Diciamo che non è andata esattamente così. E la borsa, per usare un eufemismo, non l'ha presa affatto bene.        

Twitter: @marmorello

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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