Rakuten, l'anti-Amazon che arriva dal Giappone
Economia

Rakuten, l'anti-Amazon che arriva dal Giappone

È il sito di ecommerce che vuole competere con la compagnia di Seattle. Con una filosofia molto orientale: personalizzazione e servizio al cliente. E un aggressivo piano di espansione globale.

Su Internet neanche i campioni possono mai sentirsi tranquilli. Neanche il primo dei mercanti digitali, il colosso dell’ecommerce Amazon. Mentre Walmart, la più potente insegna mondiale della grande distribuzione, dagli Stati Uniti annuncia di voler potenziare la presenza online, usando i suoi 4mila supermercati come basi logistiche per l’ecommerce, un’altra minaccia arriva dal Giappone. Perché è lì che si trova uno dei più grandi sito del mondo, di cui pochi (se non gli addetti ai lavori) hanno mai sentito parlare: Rakuten, che a Tokio scrivono così 楽天株式会社.

Tranquilli, però, il sito ha anche una versione inglese ed è una manna per tutti gli appassionati del Paese dei samurai, dalla moda al cibo. E da li sta pianificando uno sviluppo internazionale, candidandosi ad essere il vero anti-Amazon. Rakuten significa ottimismo e il suo fondatore, Hiroshi Mikitani, ne ha in abbondanza e non si pone limiti: impariamo l’inglese, globalizziamoci, compriamo aziende, cambiamo il commercio, sono gli slogan della sua filosofia raccolta in un libro appena pubblicato negli Stati Uniti Marketplace 3.0, rewriting borderless business

Rakuten, nato nel 1997, è il leader assoluto dell’ecommerce in Giappone: il 90% di chi frequenta Internet compra nel suo store. Risultato: quasi 14 miliardi di capitalizzazione e vendite annuali per 4. E nessuna grande azienda può farne a meno.

Ma guai a parlare di "Amazon giapponese". Il confronto è sbagliato, dice Mikitani che lo ha ribadito anche sulla rivista americana Fortune. Rakuten è nato per portare sul web il principio della Omotenashi, che è il senso della ospitalità giapponese, dell’attenzione per il servizio, per l’esperienza del cliente. Quindi punta molto spazio alla personalizzazione delle pagine dei venditori, evitando la standardizzazione delle vetrine. Ci sono tutte le grandi aziende giapponesi, che ormai non ne possono fare a meno, ma anche piccoli artigiani o persino agricolotri. Mikitani si diverte a raccontare alla rivista americana Fortune del contadino che ha fatto boom vendendo le sue uova biologiche dopo aver pubblicato tutte le fasi della produzione, convincendo così i clienti della bontà del suo prodotto.

Il modello è molto diverso da Amazon quindi, e ha alla base la logica orientale della conglomerata. Rakuten è un mercato, ma anche un’agenzia di viaggi, possiede catene di alberghi, fa persino la banca, con tanto di carte di credito, prestiti e mutui, gestisce società di scommesse e squadre di baseball. Ecco perché non deve stupire se qualche hanno fa ha comprato la canadese Kobo, che produce l’omonimo lettore di ebook. Rakuten non è più soltanto giapponese. Possiede Buy.com negli Stati Uniti e ha comprato siti di ecommerce in Brasile, Thailand, Malaysia, Indonesia and Taiwan, Germania, Francia. Quando toccherà all’Italia?

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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