Iva, perché le aziende protestano
Giuseppe Carotenuto/Imagoeconomica
Economia

Iva, perché le aziende protestano

Con il sistema della reverse charge, l'imposta sul valore aggiunto sarà una batosta per le imprese, che ora confidano nell'intervento dell'Ue

“E' semplice rendere le cose complicate”, scriveva il celebre umorista Arthur Bloch, “ma è complicato renderle semplici”. Difficile dargli torto vedendo come il governo Renzi, con l'ultima Legge di Stabilità, vuole cambiare il meccanismo di riscossione dell'iva, l'arcionota imposta sul valore aggiunto, applicata ogni giorno sulle vendite di beni e servizi che avvengono in Italia. Pagare l'iva, per chi mastica un po' di tasse, è di per sé cosa semplice. Dopo aver fissato il prezzo di un bene, il venditore aggiunge una maggiorazione del 22% (l'aliquota ordinaria dell'imposta) e la gira direttamente al fisco.


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Quando calcola la somma da versare all'erario, però, lo stesso venditore detrae dall'importo dovuto l'iva sugli acquisti, cioè quella già incorporata nel prezzo dei beni comprati dai fornitori. Si evita così una doppia tassazione, cioè di pagare due volte lo stesso balzello al fisco. Tutto facile, insomma, almeno finora. A complicare le cose, però, ci ha pensato il governo Renzi, con una norma che è stata inserita nell'ultima manovra economica ma che potrebbe essere presto bocciata dall'Unione Europea. L'esecutivo vuole infatti introdurre, in alcuni settori produttivi, un nuovo meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto che si chiama Reverse Charge e che ha già mandato su tutte le furie molte aziende italiane fornitrici dei supermarket e dei punti-vendita della grande distribuzione organizzata (gdo).


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Con la Reverse Charge, il versamento dell'iva all'erario non spetta più a chi cede un bene o un servizio ma a chi lo compra. In pratica, il venditore emette la fattura senza iva e a pagare l'imposta ci pensa la sua controparte. L'obiettivo è di combattere l'evasione fiscale, che sull'iva è molto alta, soprattutto in alcuni settori come quello edilizio, dove opera una miriade di appaltatori e subappaltatori che spesso aprono e chiudono i battenti a ripetizione, portandosi dietro dei debiti di iva che non vengono mai pagati allo Stato. Tra le aziende obbligate ad adottare il sistema della reverse charge, assieme ai costruttori o alle ditte di pulizia e di impianti energetici, il governo ha però inserito anche (e inspiegabilmente) le società che riforniscono la grande distribuzione, per esempio i produttori di cibi e bevande o di beni per la casa, dai panettoni alla carta igienica, passando per l'acqua minerale. Sono tutte aziende che hanno quasi sempre le carte in regola e che, dell'iva, non evadono neppure un centesimo, visto che lavorano con colossi del commercio nazionale e non possono certo fatturare in nero o adottare altri trucchetti per mascherare i propri debiti col fisco.


Un miliardo di liquidità in meno


Al governo, tuttavia, questo dettaglio sembra interessare poco. Di conseguenza, se il meccanismo della Reverse Charge entrerà in vigore, anche i fornitori della grande distribuzione venderanno i prodotti senza fatturare l'iva. Peccato, però, che sui beni acquistati dai propri fornitori come le bottiglie per l'acqua minerale o le buste per confezionare i panettoni, queste aziende continueranno a pagare l'imposta sul valore aggiunto incorporata nel prezzo dei beni acquistati, senza più la possibilità di detrarla da quella sulle vendite. L'unico modo per recuperare quanto versato è chiedere un rimborso iva allo stato che, come si sa, quasi mai paga puntuale e spesso accumula ritardi biblici. Il risultato è che molte imprese italiane, soprattutto quelle alimentari, si troveranno a corto di liquidità. Lo sa bene Alberto Balocco, noto produttore di dolciumi di Fossano (Cn), che ha già calcolato quanto costerà la Reverse Charge al sistema imprenditoriale italiano: una riduzione dei flussi di liquidità per 15 milioni di euro soltanto nella sua azienda e per circa 1 miliardo tra tutti i fornitori della gdo.


Aumenti in vista per le accise


“Solo un governo Tafazzi può pensare di uscire dalla crisi dando addosso alle poche imprese sane rimaste nel nostro paese, anziché favorirne lo sviluppo”, dice Balocco, “. “Questa norma è un'assurdità”, gli fa eco Alberto Bertone, presidente e amministratore delegato di Acqua Sant'Anna-Fonti di Vinadio, “e non capisco quali siano gli obiettivi per cui è stata introdotta”. Dietro allo scopo dichiarato di combattere l'evasione, infatti, per Bertone c'è in realtà l'obiettivo del governo di fare cassa. Non a caso, l'esecutivo ha già bella e pronta una clausola di salvaguardia che prevede l'aumento delle accise sul carburante, se le norme sulla Reverse Charge non otterranno il via libera dall'Unione Europea. Per entrare in vigore, infatti, il nuovo meccanismo di applicazione dell'iva necessita di un disco verde da Bruxelles che, secondo molti esperti fiscali non arriverà mai. “Già nel 2006, ci fu la bocciatura dell'Ue di norme analoghe approvate in Germania e Austria”, dice Balocco, che confida nello stop degli organismi comunitari. Se l'Ue manderà tutto all'aria, i consumatori si preparino pure a un aumento delle accise sui carburanti.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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