Evasione di sopravvivenza, la storia della carpentiera Nella
Economia

Evasione di sopravvivenza, la storia della carpentiera Nella

Ha una carpenteria sua ma è schiacciata tra i debiti con il Fisco e la concorrenza "disinvolta"

La signora Nella ha 70 anni, suo marito ne ha un paio di più, eppure lavorano ancora nella carpenteria di famiglia che avevano avviato in gioventù. Con loro, a costruire strutture per serre e cancelli, ci sono i due figli e tre operai. «Prima ne avevamo di più, ma oggi non possiamo più permetterci di pagare altro personale: troppe spese per metterli in regola, non vogliamo correre rischi, il nostro è un lavoro che può essere pericoloso» spiega la signora che ammette di dover subire la concorrenza sleale «di chi compra le strutture all’estero e poi manda tre extracomunitari pagati in nero a montarle: le nostre serre andiamo noi a montarle e tengono anche con le bufere, quelle loro non so. Ma tante aziende agricole sono in crisi pure loro e preferiscono risparmiare così».

La signora Nella sostiene che la sua azienda fattura circa mezzo milione di euro l’anno, ma non parla di utili «perché di queste cose se ne occupa mia figlia». Una cifra, però, la conosce molto bene: sono i 60 mila euro di tasse arretrate che deve pagare allo Stato e sono state rateizzate in bollette mensili da 900 euro. «Per noi non è poco. Io prendo una pensione da 700 euro al mese, mio marito ne ha una da 1.200: e in più dobbiamo pagare gli stipendi dei tre operai, 1.350 euro a testa».

E i figli? Loro lavorano gratis? «Al maschio, che ha 45 anni, diamo 600 euro al mese; alla figlia, 40 anni, che ci segue i conti, ne diamo 300: glieli diamo quando li abbiamo, perché qualche volta non ce la facciamo» spiega la signora Nella, che punta il dito contro tutto e tutti: «Ormai ci fanno pagare anche l’aria che respiriamo, tutti vogliono tasse e imposte, neanche il comune ci lascia respirare con le sue tasse sui rifiuti». «Siamo stufi, così non si può andare avanti: è venuto un signore a offrirci 100 mila euro in contanti per fare un lavoro, ma noi non l’abbiamo accettato. Troppo pericoloso, troppi controlli. Ma sono sicura che qualcuno quel lavoro l’ha preso e continua a fare soldi in nero. Mentre noi siamo additati come evasori perché qualche volta non riusciamo a pagare le rate delle tasse arretrate. E allora, se ci riusciremo, venderemo tutto e finisce lì».

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Damiano Iovino