Evasione, ecco perché in Italia la riscossione ancora non funziona
Economia

Evasione, ecco perché in Italia la riscossione ancora non funziona

I poteri di Equitalia solo da poco sono stati resi adeguati e inoltre abbiamo una struttura economica troppo fragile

I dati forniti in Parlamento circa i livelli di evasione fiscale nel nostro Paese, e soprattutto quelli sul recupero effettuato dagli enti di riscossione, ha riproposto con forza il problema dell’inefficienza della nostra macchina tributaria. Negli ultimi dodici anni infatti, a fronte di circa 800 miliardi di evasione, si sarebbe riusciti a recuperarne circa 70 miliardi. Se poi si sottraggono i circa 200 miliardi soggetti a sgravio, resta un buco di circa 545 miliardi di euro ancora da recuperare. Un’enormità, soprattutto in un Paese che da tempo annuncia una lotta senza quartiere agli evasori.

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Ma allora cosa c’è che non funziona in Italia da un punto di vista fiscale, e perché gli enti di riscossione, in testa Equitalia ovviamente, devono affrontare così grandi problemi per recuperare le tasse inevase? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Santoro economista dell’Università Bicocca e grande esperto di Scienze delle finanze. “Il primo equivoco da chiarire – esordisce Santoro – è quello legato ai poteri, ritenuti straordinari, di cui sarebbe stata investita Equitalia. Cominciamo con il dire che le sue modalità di contrasto all’evasione sono perfettamente in linea con quanto avviene in altre Paesi in cui esistono agenzie comparabili”. E allora, a maggior ragione, verrebbe da chiedersi perché da noi, i risultati siano così deludenti.

“In questo senso – spiega Santoro – bisogna tenere conto che i poteri, che molti giudicano straordinari, ma che come detto rientrano nella prassi di tutti i Paesi occidentali in cui si fa una lotta seria all’evasione, sono stati conferiti a Equitalia da poco. I termini abbreviati di riscossione, le esecuzioni forzate, per non parlare dell’ultimissima novità dei controlli sui conti correnti, sono tutte facoltà che Equitalia ha acquisito negli ultimi anni. I dati sull’evasione forniti in queste ore invece, sono riferiti agli ultimi 12 anni, quindi anche a periodi in cui gli enti di riscossione operavano con armi spuntate”.

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Fatta questa importante premessa iniziale, non si può però non affrontare il tema dell’evasione in Italia senza considerare anche problemi di natura molto più strutturale. “Noi viviamo in un Paese – attacca Santoro – in cui sono attive circa 6 milioni di partite Iva. Molte di esse non hanno nessuna struttura organizzativa. Sono iscritte ad una Camera di Commercio, ma poi spesso se le si va a cercare fisicamente non hanno neanche una sede, oppure non esistono più, o peggio hanno i propri beni intestati a qualche altro soggetto. Questo vuol dire avere a che fare con una struttura economica fragilissima, che ha effetti perversi anche sull’attività di riscossione”.

In pratica infatti, gli enti tipo Equitalia, si ritrovano in mano recuperi di crediti messi a ruolo, per i quali innanzitutto devono individuare il contribuente soggetto al pagamento, che come sopra accennato, è una prima attività non sempre facile e lineare. In secondo luogo, una volta individuato il contribuente, devono concedergli il tempo tecnico per pagare, infine, se ciò non avviene, bisogna far scattare le procedure di recupero esecutive.

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Tutti passaggi che costano tempo e denaro alla pubblica amministrazione. E in questo senso, la struttura economico-produttiva del nostro Paese rappresenta per il Fisco un vero cono di bottiglia. “Si continua a parlare di incentivi che dovrebbero servire a far nascere nuove imprese. In realtà – sbotta Santoro –noi in Italia non abbiamo bisogno di nuove attività economiche, ne abbiamo fin troppe. Basti dire che ogni anno tra il 10 e il 15% di imprese nasce e muore. In queste condizioni, anche per il fisco, recuperare crediti arretrati diventa una scommessa impossibile”. In definitiva dunque, la lotta all’evasione si fa sì con un Equitalia più efficiente, ma di pari passo, ci vorrà anche un tessuto imprenditoriale più robusto. Anche questa però al momento appare una scommessa, speriamo però non impossibile.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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